Il monte Santo del Lussari tra natura dell’alpeggio e momenti di spiritualità

Nella nostra regione esistono luoghi capaci di sprigionare un’energia particolare. Il monte Santo di Lussari è uno di questi, incastonato nelle esigenze di tre ceppi linguistici diversi tra loro, con funzioni da tetto a quegli antichi sentieri di pellegrinaggio che un tempo funzionavano, oggi forse vengono idolatrati più del loro reale utilizzo. Ed è proprio passando di qua che per tutta la stagione estiva si può incontrare Alcide Gardelli, gestore della malga Lussari, l’immagine allucinata di un tipi indiano, con la colonna di fumo che fuoriesce da un calumet appena acceso. Vecchio detto di montagna: quando il camino fuma il pastore è in malga. Alessia, la compagna di Alcide mi dice che «trovare il tempo per scambiare quattro chiacchiere con lui è veramente dura, visto che qui in montagna le cose sono diverse rispetto al resto della regione».
Questa malga è diversa dalle altre perché non ci sono stato. Non sono potuto salire fino in cima al Lussari e ho necessariamente dovuto impostare il lavoro sulla base di un’intervista telefonica, spesso singhiozzante a causa della difficile ricezione. Dopo quasi venti malghe non me ne vorrete, credo. Malga Lussari è una delle poche strutture di proprietà privata e non comunale, così si legge dal sito dell’Ersa. Servono affettati, formaggi di malga, burro, ricotta e ogni tanto magari anche un po’ di carne alla brace.
Leggenda vuole che fu proprio un pastorello, nel Cinquecento, a trovare l’immagine sacra della Madonna e così dare un volto alla spiritualità di queste cime. Probabilmente sono molti i pellegrini lungo queste strade di montagna. Questa struttura vive la stagione del pellegrinaggio da moltissimi anni.
Diventa così un binomio semplice da costruire, quello della malga e del santuario. Non sono in tanti però a conoscerla, questo alpeggio che soffre forse l’ombra prodotta dalla sacralità religiosa della vergine.
La linea del telefono cade più volte, Alcide corre dietro alle bestie e Alessia scompare chissà dove. Il telefono squilla per due ore abbondanti, ma nessuno risponde. Non è questione di maleducazione bensì di impegni e di gerarchie: quassù, come in tutte le altre malghe che ho tentato di raccontare in questi ultimi due mesi, contano le bestie e la relazione del malghese con il gregge o la mandria che sia. È anche e soprattutto la cultura del silenzio. Non è un gioco, non può esserlo.
Mi rendo conto che narrare le gesta della gente di montagna non può rimanere in cima ai nostri desideri morbosi. Se non ci si riesce a incontrare, è anche inutile corrersi dietro, cercare di condividere forzatamente tutto. In malga Lussari è stato esattamente così e su queste cime delle Giulie ripensare al valore dell’assenza diventa prezioso. Silenzio e assenza, forse che possono salvarci, anche quando ci diranno che il nostro tempo è finito, che non possiamo più fare niente per salvare la montagna.
Le malghe potranno salvarci, a patto che le cozze restino in laguna e le facce toste rimangano a casa, visto che un po’ di strada, per arrivare a malga Lussari ce n’è.
Ci si può arrivare in svariati modi, alcuni di essi più comodi alcuni di essi più autentici, visto il valore della fatica in montagna e, più in generale, quando si ha voglia di far parte del mondo naturale.
La cabinovia da Camporosso conduce alla malga mentre si sta comodamente seduti; la vecchia strada militare della val Saisera, accessibile con fuoristrada, porta anche direttamente alla malga, anche se infine, il miglior mezzo rimangono sempre le nostre gambe. Il sentiero del pellegrino accoglie chiunque si senta parte di questo angolo di mondo e lo porta, partendo proprio dall’abitato di Lussari, lungo la pista Cai 613 fino all’alpeggio a 1573 metri sul livello del mare.
Per informazioni si può telefonare al numero 3289416445 oppure scrivere una mail a alessia.alcide@gmail.com.
Andarci a piedi possiede sicuramente uno spirito diverso. Immaginandomi la dimensione di questa malga ho pensato che il tempo speso al telefono, a cercare di ottenere informazioni sul luogo da promuovere, era tempo buttato. Appena potrò risalire in montagna andrò in cima al Lussari a parlare con Alcide di persona.
E se qualcuno di voi farà lo stesso, allora ci incontreremo lassù, tra le campane sorde del santuario, due asini e quella val Saisera da dove partono i violini per Cremona. Musica silenziosa, la presenza del doveroso silenzio. Non credete che stiamo facendo un po’ troppo di rumore ultimamente?
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Messaggero Veneto