Il no della burocazia alla gelateria in un aereo. E il Caravelle Alitalia resta una cattedrale nel deserto FOTO
FONTANAFREDDA. Una gelateria dentro un aereo. Un sogno che per molto tempo ha coltivato e rincorso l’impresario Rino De Marco, 71 anni, di Fontanafredda. Un sogno, a Ceolini, che sarebbe diventato realtà se non ci fosse stato lo stop imposto dalla burocrazia quando già il velivolo rullava... a bordo pista.
A Rino De Marco, nonno del pilota di Formula 3 Nicola, la fantasia non è mai mancata. Una volta appassionato di aerei (una volta perché questa vicenda l’ha sfiancato), aveva in mente di realizzare una gelateria dentro un aereo.
«Il Caravelle - raccontò in una intervista qualche anno fa - lo acquistai dall’Alitalia nel 1981». La compagnia di bandiera ne mise in vendita tre: li aveva appena restaurati, ma per una serie di vicende, non li rimise in volo, preferendo la strada della cessione.
De Marco quel “Procione”, questo il suo nome, lo acquistò per 25 milioni di vecchie lire per realizzare la gelateria. Sul terreno di Ceolini ottenne tutti i permessi: sia quello per il deposito sia quello per la realizzazione dello stabile in cemento che sarebbe stato il laboratorio artigianale del gelato da servire a bordo.
«Mi costò di più - raccontò ancora - il trasporto da Tessera a Fontanafredda: dovetti noleggiare due camion speciali riadattati per caricarvi la carlinga, le ali e la coda, trasportati in un viaggio-odissea e poi ricomposti sul terreno di 7 mila metri quadrati» situato accanto al campo sportivo.
De Marco ottenne il via libera dal Comune, ma non dall’allora Usl, ora si chiamerebbe azienda sanitaria, che sollevò incompatibilità con le norme igienico-sanitarie: in aereo non si distribuiscono gelati. Quell’unico sì che mancava non è mai arrivato, mentre l’Ici, quella sì, ha continuato a pagarla».
E pensare, ricordò sempre in quell’intervista l’imprenditore, «che avrei potuto dare lavoro a una dozzina di persone... Ma è inutile chiedere l’elemosina». Così ha smontato cabina e sedili (ancora perfetti) e li ha messi in un deposito, pronti per l’uso.
Attorno a quel Caravelle, il simbolo dell’era glamour dei jet negli anni Sessanta, «ci sarebbero state fontane luminose, aerei militari in mostra statica all’aperto. C’era solo quel permesso che non arrivava e non è mai arrivato».
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