“Il piacere della legalità”: ex detenuto si racconta ai ragazzi del Percoto

Un confronto senza barriere: un colloquio in cui due umanità si incontrano e dialogano apertamente è quello che si concretizza nel progetto “Il piacere della legalità? Mondi a confronto”, nato 12 anni fa, e che vede studenti e detenuti mettersi in discussione. I racconti del passato, le storie di come si è arrivati alla rottura del patto con la legge, riferiti senza alcun muro che ostacoli l’approfondimento di temi, quali la consapevolezza del reato e gli effetti di quest’ultimo. Il progetto che coinvolge otto istituti scolastici, il carcere e l’Ufficio Esecuzione Penale Esterna Uepe), ha promosso, insieme all’associazione Volontariato Giustizia Icaro, l’iniziativa “A scuola di libertà”.
All’incontro tra scuola e carcere tenutosi al liceo Percoto, hanno partecipato 150 studenti dei licei Percoto e Sello. In apertura, la presidente di Icaro, Roberta Casco ha spiegato che l’associazione, nata nel 1994 al termine di un corso per assistenti volontari penitenziari, ha lo scopo di sostenere le persone detenute, collaborare con i servizi sociali per il loro reinserimento nella società e mantenere viva l’attenzione sui temi della legalità.
Successivamente gli studenti, guidati da Andrea Monculli, educatore professionale del Servizio per le dipendenze patologiche (Sert), hanno dialogato con gli operatori penitenziari: Lionella Manazzone, magistrato di sorveglianza; Irene Iannucci, direttrice della Casa circondariale; Stefania Gremese, direttrice Uepe, Natascia Marzinotto, garante dei diritti dei detenuti. Molti i temi trattati: la responsabilità individuale, il rispetto delle regole, l’ordinamento penitenziario, la privazione della libertà, le pene alternative al carcere, le problematiche connesse alle devianze.
Toccante e significativa è stata la testimonianza di un ex detenuto, Lorenzo, che ha vissuto l’esperienza del carcere dal 2009 al 2012.
Ha riposto alle domande degli studenti, interessati a conoscere la sua storia. «Da ragazzo – ha raccontato – ero considerato un bullo. Non immaginate quanto sia facile passare da azioni che possono sembrare stupide, alla detenzione. Ho sempre saputo che stavo facendo qualcosa di sbagliato, pertanto vi invito ad ascoltare sempre la voce della coscienza. La prigione è un luogo di estrema sofferenza – ha continuato – anche per il fatto di convivere in cella con altre sei-sette persone, con le quali spesso i rapporti sono difficili, perché ognuno si porta dietro esperienze di vita dura. Inoltre, per assurdo, se hai una famiglia alle spalle che si prende cura di te, ti vuole bene e ti aspetta fuori dal carcere, soffri di più.
Una sofferenza a volte maggiore di quella provata da chi non ha nessuno che lo aspetta. In carcere, per parlare con i propri cari c’è soltanto un’ora la settimana. Io mi porto ancora dietro il dolore immenso per aver perso mia madre mentre ero in carcere. Non aver potuto esserle vicino, per me è stata una doppia tragedia, a cui non c’è consolazione».
Oggi Lorenzo conduce una vita normale. Lavora come coordinatore in una cooperativa sociale che si occupa di dare lavoro alle persone in difficoltà. Questa attività gli procura molta soddisfazione.
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