Il Pm: "Bearzi vittima della burocrazia italiana"

UDINE. La vicenda giudiziaria di Livio Bearzi è figlia di questo Paese. Di uno Stato dove, spesso, si scrivono e approvano le leggi senza tenere in considerazione l’impatto generale che possono avere sulla vita delle persone. Fausto Cardella, procuratore della Repubblica a L’Aquila dal 2012, va dritto al punto e – pur con quel garbo istituzionale che gli impedisce di esprimere giudizi su sentenze passate in giudicato – si è fatto un’idea ben precisa della “storia” di Bearzi e delle implicazioni di una normativa a dir poco balzana che lo sta portando a scontare una pena di quattro anni di reclusione nel carcere cittadino di via Spalato.
Procuratore che giudizio può darci dell’iter processuale a carico di Bearzi?
«Non mi sembra nè elegante nè corretto commentare una sentenza confermata dalla Cassazione e, per di più, su un caso che si era aperto prima del mio arrivo a L’Aquila. Posso soltanto esprimere la mia solidarietà per il dramma di una persona che, oltre al fardello per gli avvenimenti di quella maledetta notte, deve adesso sopportare anche il peso di una detenzione».
Qui in Friuli l’alzata di scudi a difesa del preside è stata totale pur attaccando la legge più che la magistratura...
«Questo lo scopro adesso. In ogni caso mi sembra di aver capito che a Bearzi sia stata attribuita una colpa generica collegata all’aver vietato alle persone di uscire all’esterno del convitto e impedendo così, di fatto, che ogni singolo individuo si facesse carico della responsabilità delle proprie azioni. Una decisione presa sicuramente in buona fede, e anche collegata ad alcune teorie che sostengono come in caso di terremoto sia meglio evitare di uscire all’esterno, a cui ha fatto seguito quella disastrosa fatalità».

Ma secondo lei il decreto legislativo 81 del 2008, quello “incriminato” e che attribuisce al dirigente scolastico la responsabilità penale sulla sicurezze degli immobili scolastici risponde alle reali esigenze?
«La magistratura è tenuta a prendere decisioni in base alle leggi esistenti anche nei casi in cui, e l’esempio del decreto è lampante, queste cozzino con problemi evidenti».
Si può spiegare meglio?
«La ratio della legge, in sè, è giusta, ma si scontra con la cronica mancanza di risorse del nostro Paese che, di fatto, attanaglia ogni ente impedendo spesso di effettuare gli interventi di manutenzione, anche nel caso in cui questi siano espressamente segnalati e richiesti».
Descrizione che pare calzare a pennello al caso del preside friulano...
«La realtà dice che si verifica in molte situazioni diverse. È un antico male italiano quello di prendere decisioni e approvare le leggi senza ragionare sui provvedimenti paralleli che dovrebbero essere varati per renderle effettivamente valide».
Ma la Costituzione non obbliga la copertura finanziaria di ogni norma?
«Certo e, almeno formalmente, c’è sempre. Peccato che poi spesso, nel concreto, venga a mancare».
Per quali motivi?
«La solita burocrazia italiana, il male principale del Paese. Non si contano più le riforme approvate del Parlamento con l’obiettivo di semplificare la pubblica amministrazione, ma che, alla fine hanno creato una struttura formata da leggi talmente complesse e farraginose da provocare la paralisi, o quantomeno l’inefficienza, dell’intero sistema».
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