Il Pordenone calcio è da A, la città ancora no. Stadio in stand by, De Marchi a rischio

PORDENONE. P come Pordenone, ma anche P come paradosso. Parliamo di calcio e della squadra che sta facendo innamorare una parte della nostra città e una di quella che la ospita, Udine. Un miracolo, quello neroverde, che domenica dopo domenica ha visto i “ramarri” di mister Tesser issarsi al secondo posto solitario in una serie B che già sembrava un sogno e che invece ora offre una meravigliosa vista verso l’olimpo assoluto: la A di Cristiano Ronaldo e coinquilini dell’iperuranio pallonaro.
Solo che non saremmo Pordenone se tutto filasse liscio e avessimo solo da festeggiare. Il punto resta che il miracolo che la società del presidente Mauro Lovisa sta compiendo si materializza a 50 km dai cuori dei propri tifosi, davanti a fedelissimi erranti in costante aumento, ma sempre attestati su numeri potenzialmente ben più consistenti, se solo i neroverdi potessero contare su un nuovo stadio a casa loro.
E su questo fronte, purtroppo, almeno ufficialmente, le trattative ristagnano. Comune e società proseguono gli incontri con imprenditori e potenziali nuovi soci, ma la domanda delle cento pistole, “Chi mette i soldi?”, non ha ancora trovato risposta. E il soggiorno a Udine, ai Pozzo piacendo, si profila questione di anni.
E dire che i vantaggi potrebbero essere consistenti, perché oltre al teatro dei sogni calcistici ci sarebbe il fronte concerti, in una regione in cui Udine e Trieste non possono più ospitare negli stadi leggende come Madonna, Bruce Springsteen e i Coldplay. I lavori effettuati hanno infatti reso quei catini inadeguati per sostenere palchi come quelli utilizzati per i grandi eventi. Pordenone potrebbe attestarsi in tal senso come location ideale, fra l’altro più a ovest e quindi più facilmente raggiungibile dalle altre regioni, rispetto agli altri capoluoghi del Fvg.
Ma torniamo al calcio perché c’è ancora un capitolo importante riguardante i “ramarri”. Mentre si rimpiange, in questo magico momento storico, l’assenza di una “casa” propria, nella città in cui vive a lavora la squadra, ecco affacciarsi all’orizzonte il punto di domanda sul centro sportivo De Marchi. Questa fantastica struttura che mezza Italia ci invidia è di proprietà del Comune e, così come accade per il Bottecchia, la piscina di viale Treviso, il velodromo e tutte le strutture sportive municipali, è destinata a un bando di gara affinchè ad aggiudicarsi la gestione sia il miglior offerente, quello cioè in grado di portare le entrate più cospiscue alle casse del Comune e dunque ai cittadini.
In questo caso, però, il Pordenone calcio, già senza un proprio stadio, rischierebbe, qualora sconfitto, di venir privato della fucina in cui si allena e dalla quale escono i talenti del settore giovanile.
Che fare, dunque? Le ragioni della collettività contro quelle della logica calcistica e dello sviluppo sportivo. Non una “grana” facile da risolvere, per il Comune, che ha già investito 30 mila euro nella sistemazione dei campi e in altri lavori e che sta, infatti, perfezionando una proroga, sino a dicembre 2020, della convenzione che lo lega alla società del presidente Lovisa. Si prende tempo, di fatto, per mettere in sicurezza, nell’immediato, il Pordenone, ma nella consapevolezza che sarà impossibile evitare in futuro il passaggio attraverso un bando di gara.
Nel frattempo la città e la sua classe imprenditoriale sono chiamate a scegliere. Se vogliono reimpossessarsi di fatto, oltre che di nome, di questo Pordenone dei miracoli, a cui ieri per esempio la Gazzetta dello Sport ha dedicato una pagina additandolo a modello nazionale, o se chiamarsi fuori.
P come possibilità o P come peccato. In mezzo non si può più stare.
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