Il primario che combatte il virus: «Qui si muore e ci si squaglia nelle tute, vinceremo soltanto se ci aiutate»

PORDENONE. Una trincea con 11 posti letto. Camici, caschi, monitor, cavi e macchinari di ventilazione. Un luogo di lotta a un nemico invisibile. Di vite perse o restituite. Sulla visiera una scritta: “Dr.Pellis”. Gli occhi vigili, dietro le lenti, sono proprio quelli di Tommaso Pellis, figlio d’arte e primario del reparto di terapia intensiva dell’ospedale di Pordenone.
Le parole sono quelle del comandante di un plotone coeso, ma in attesa di rinforzi, non solo in corsia ma anche e soprattutto fuori. In attesa che in quella terapia intensiva cominciamo a lavorare anche noi. Che deponiamo un bicchiere, rinunciamo a una tentazione e iniziamo, ognuno per ciò che può, a sottrarre ossigeno al mostro. Quello che il mostro sottrae ogni giorno dai polmoni di tanti di noi.
Nessuna domanda a interrompere il flusso della narrazione, in questa intervista diversa dal solito. Un racconto per temi, modulato da chi vive da marzo una esistenza diversa e ha deciso di raccontarla.Con una esortazione e un appello di fondo: «Aiutateci ad aiutarvi. Questa partita si vince, se si vince, soltanto insieme». Parola al comandante, dunque.
Posti letto
«Da tecnico non faccio un discorso politico. È ora che gli struzzi tirino fuori la testa dalla sabbia. In questi giorni c’è stata un’ampia discussione sui posti letto. Il vero problema, però, non sono i posti letto fisici, quelli tecnologici, con pompe, cavi, monitor.
Martedì scorso abbiamo aperto una seconda terapia intensiva nella piastra operatoria. Il problema reale, però, sono le persone, perché la differenza la fanno gli operatori altamente specializzati. La professionalità non si improvvisa in pochi mesi. Per assistere malati così complessi come i pazienti col coronavirus ci vuole personale che abbia questo genere di professionalità, che è qualcosa che non si inventa dall’oggi al domani».
Aperitivi e filosofia
«Ci sconcerta lo scollamento fra due realtà, quella dentro l’ospedale, dove si soffre e si muore, e dove il personale si squaglia nelle tute, e quello che succede fuori. Lo scopo del coprifuoco non è anticipare gli aperitivi di due ore.
Chiudere i centri commerciali non è un invito ad andare ai mercatini. Qui dentro si muore e moriranno sempre più persone. Attrezzare sempre più posti letto intensivi e subintensivi significa sottrarre personale ad altre attività, non poter curare, operare, trattare in qualsiasi modo altre malattie, lasciare orfani dell’assistenza altri pazienti e altre patologie.
Mi chiedo che senso ha, se non chiudiamo prima il rubinetto che perde, continuare a raccogliere l’acqua dal pavimento. Se pensiamo alla storia della medicina la prevenzione è stata la più grande conquista degli ultimi secoli. Ecco perché la scienza investe più sul vaccino che sulla terapia. In sostanza non è questione di posti ma di come la società deve usare le risorse che ha a disposizione».
I malati
«L’età media dei miei malati è scesa vertiginosamente. In questo momento il paziente più giovane ha 31 anni, intubato e ventilato, ne ho ben 5 sotto i 55 anni negli undici posti a disposizione».
Il personale
«Il personale è poco ed è figlio di politiche di decenni di tagli alla sanità e agli investimenti, figlio dei valori che abbiamo perseguito. Quali sono i valori su cui punta la nostra società? Abbiamo depauperato la sanità e in poco tempo non si possono ricreare queste figure, è questione di programmazione. Mancano gli infermieri non perché non li assumono, perché non ci sono. Non può esere colpa di questa giunta e della giunta precdeente, è un discorso di anni».
I rattoppi
«Si tratta di tagliare l’attività su altre linee per recuperare il personale e concentrarlo sull’emergenza più grave. Così facendo, peroò, si lasciano altri pazienti orfani di una risposta immediata».
Le altre malattie
«Tutti i posti letto contati in regione come disponibili per i malati di Covid comprendono quelli dedicati agli altri malati, è questo l’equivoco di fondo del dibattito. Mentre durante il lockdown erano pressochè scomparse le altre patologie ora continuano a esserci».
Camici bianchi infettati
«In più adesso, rispetto alla prima ondata, si ammalano anche gli operatori. Ci si contagia principalmente, per il 65 per cento, in famiglia, tra familiari stretti e non conviventi. Io ho quattro figli piccoli che vanno all’asilo, al nido, a scuola e ho statisticamente i giorni contati».
Le cure rispetto a marzo
«Abbiamo raccolto esperienze, fatto gruppo, cambiato l’assetto organizzativo, ma è la prevenzione la chiave del problema, non abbiamo una terapia rivoluzionaria. Noi utilizziamo le terapie ammesse dall’Aifa: remdesivir, eparina, ma soprattutto lo steroide, che facevamo già anche a marzo e ad aprile».
L’appello
«È l’ora della coesione, di tirare fuori il meglio di ciascuno di noi. Di scendere in campo per vincere contro ogni pronostico. Vuole un hashtag? #Stateacasa. Vogliamo tenere su il tessuto produttivo, fare il Natale, ma è già tardi e bisogna agire subito».
E arriva l’influenza
«Qui siamo in terapia intensiva e ogni anno ne vediamo una decina di malati in condizioni critiche per l’influenza. Poi, però, ci sono i posti letto degli altri reparti, che l’influenza di solito riempie. Per questo siamo molto preoccupati. L’influenza, come si trasmette come il coronavirus, serve la collaborazione di tutti anche su questo fronte».
Eroi quotidiani
«Il mio ringraziamento va al personale di tutto il dipartimento di emergenza, del laboratorio, delle sale operatorie che si fanno carico di attività non loro e si stanno reinventando. Persone straordinarie fuori dalla comfort zone, ma fanno il loro lavoro. Sono persone abbattute perché vedono che ci ritroviamo nelle condizioni di prima e in più che anche noi ci ammaliamo, ma non sul lavoro, principalmente fuori. Poi ci sono luoghi in cui esistono i focolai tra pazienti, nessuno lo nega, ma il problema vero è nelle case».
Le precedenti pandemie
«Non ci sono tutte queste differenze rispetto al passato. Nel corso dell’influenza spagnola del 1918 l’Rt era molto più basso in primavera e più del doppio in autunno e inverno. E’ il clima che cambia e il virus circola meglio con il freddo».
I valori
«Io mi auguro che ci sia l’opportunità di riportare al centro i veri valori, quelli che riteniamo fondamentali per la società. Gli aperitivi o solo l’economia? La sanità la potenzieremo o il problema non esisterà più dopo il vaccino? Mi auguro che il futuro non ci riservi un’altra pandemia virale, ma nel passato recente abbiamo visto zika, ebola, sars. Questo coronavirus ci ha messo più in crisi di altri, andrebbe raccolta questa esperienza».
Come saremo a maggio 2021
«Mi vedo stanco, ma fiducioso nel poter aprire un discorso più ampio, qualcosa che faccia affiorare i veri valori su cui intendiamo fondare la nostra società. Se il diritto alla salute è un valore costituzionale i dobbiamo investire. Conta l’assistenza, contano gli operatori, perché guardate che qui ci sono persone che piangono.
Quelli che sono in prima, seconda e terza linea e che si sostengono ogni giorno. Siamo coesi e senza di loro non so come andrei avanti. Ma questa volta veramente ci serve anche il vostro aiuto. Mai come questa volta ogni persona conta». —
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