Il racconto: "L’aggressione un anno fa mi ha cambiato la vita, basta lavorare da soli"

CASARSA. «Quello che mi è accaduto è successo perché quella notte ero sola. E il problema è che non dobbiamo più rimanere da soli. La guardia medica non deve più essere un servizio gestito in solitudine, perché solitudine è fragilità».
Serafina Strano scandisce le parole con enfasi stanca, con la forza disperata di chi è stata violata e umiliata mentre svolgeva il proprio lavoro, ma ha deciso di combattere, di mostrare il suo volto sempre, perché nessuno possa dimenticarsi di quello che lei ha subito.
E di quello che tutti i medici, soprattutto le donne, rischiano ogni giorno. Dal palco del teatro Pasolini a Casarsa, la dottoressa che fu aggredita e violentata da un paziente, a Trecastagni (Catania), la notte del 19 settembre del 2017, ha rievocato ancora una volta quella notte dell’orrore, dalla quale si sente «una sopravvissuta».
Ma dalla quale non vuole essere sopravvissuta invano. «Sono passati parecchi mesi, esattamente 284 giorni da quella data che è diventata lo spartiacque dalla mia vita» ha detto Strano.
Ha ricostruito i passaggi: il giovane paziente, non nuovo, che voleva un antidolorifico, l’aggressione alle spalle, un’ora e mezza in ostaggio, la violenza subita e poi la fuga in giardino, l’urlo udito dai vicini e la salvezza.
«Ho sperato che quello fosse l’ultimo episodio in cui una dottoressa di guardia medica dovesse vivere un incubo, perché ho rischiato seriamente di morire. Purtroppo la risposta non è quella che avrei voluto. Dal 19 settembre cosa è cambiato?
Nella mia vita tanto – ha proseguito il medico –. Sono finita sotto i riflettori, mi sono esposta e molti mi hanno criticata per questo. Provo amarezza per essere stata giudicata male, ma il rischio l’ho accettato. Ho dovuto sfruttare il mezzo mediatico perché non calasse il silenzio.
Ho trovato giornalisti sensibili, che si sono fatti carico di tenere alta l’attenzione. Anche perché gli episodi di violenza si susseguono, l’ultimo in ordine di tempo ad Adelfia.
È la prova scientifica, che non è stato fatto nulla dalle istituzioni. Anche campanellini, Gps, che comunque non costano poco, servono a poco. Prima che arrivano le forze dell’ordine passa troppo tempo. Nel caso della collega di Adelfia mezzora: l’aggressore avrebbe potuto ucciderla non una ma cento volte».
Ecco perché, «Ben vengano le iniziative come quella che coinvolge gli alpini – ha detto Strano –. Sono entusiasta del progetto: spero che si possa replicare in tutte le aziende sanitarie, al sud potremmo impiegare i forestali, che sono tantissimi».
Il problema della violenza «è dappertutto, la nostra società è malata. Ma da cittadina – ha concluso – chiedo alle istituzioni di gestire il loro potere in modo civico: non potere fine a sè stesso, non prevaricazione, ma potere inteso come “poter fare”. E potere è volere, per cui io continuerò a smuovere le coscienze».
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