Il racconto: «Quando mio zio ci portò a fare una gita con la Cadillac nera dello Scià di Persia»

Aviano, la testimonianza di Renato Minozzi. «Era grande, sembrava un transatlantico. Il monarca a Venezia per la Mostra del cinema, per noi fu una festa»

AVIANO. «Per due giorni ho viaggiato lungo le strade impolverate di Aviano e dei paesi vicini, sostando in piazze e piazzette, seduto nella grande automobile, una Cadillac nera da sogno, dello Scià di Persia Reza Pahlevi e della sua consorte, la regina Soraya».

Comincia così il racconto del pittore avianese Renato Minozzi. Ad ascoltarlo sembra di calarsi in un film di Federico Fellini, un “Amarcord” particolare, ambientato ad Aviano subito dopo la guerra, invece è tutto vero.

«La Cadillac nera, che sembrava lunga e grande quanto un transatlantico – ricorda Renato Minozzi – era guidata da mio zio Edoardo Fabbro. Emigrato nel dopoguerra, aveva fatto fortuna, diventando l’autista nientemeno che dello Scià di Persia».

Alla fine di agosto del 1948, durante una visita di stato, lo Scià e Soraya si fermano a Venezia, per la Mostra del cinema. Avuti due giorni di congedo, Edoardo arriva ad Aviano in visita alla famiglia e ai suoi nipoti. «Io ero un ragazzino di dieci anni – continua Minozzi – e con quell’automobile favolosa mi sembrava di vivere in un sogno assieme alle mie sorelle Gianna e Mirella.

Sedevo accanto a zio Edoardo, che guidava, Gianna e Mirella occupavano il sedile posteriore, quello riservato allo Scià Reza Pahlevi e della regina Soraya. Mio zio andava piano per non sollevare la polvere delle strade, all’epoca ancora sterrate e strette».

Il viaggio in Cadillac diventa presto un tragitto pieno di imprevisti. «Per noi, abituati alla vita di paese – ancora Minozzi –, dove all’epoca ci spostavamo in bicicletta o con l’asino e il carro, quella della Cadillac era il simbolo del lusso e della velocità.

Particolarmente abile nella guida, zio Edoardo riusciva a passare indenne nelle tante strettoie che caratterizzavano Aviano e dintorni. Ricordo che quando incrociavamo i carri agricoli carichi di fieno, tirati dall’asino o dai buoi, mio zio accostava per farli passare senza correre rischi di compromettere la carrozzeria della Cadillac dello Scià».

Se fosse successo, sarebbe stata una vera disgrazia visto che, all’epoca si poteva trovare qualche bravo meccanico, come Giordano Tassan che aveva l’officina in via Penzi ad Aviano, ma carrozzieri in paese non ce n’erano.

«Le soste della “nostra” Cadillac in piazza ad Aviano, come a Dardago, Budoia, Vigonovo, Polcenigo diventavano un evento speciale – ricorda Renato –. In pochi minuti arrivava più gente che alla domenica per andare a messa. Edoardo ci comperava un cono il gelato. Per mangiarlo, dovevamo assolutamente scendere dall’automobile.

Se strisciarla sarebbe stata una sventura, altrettanto tragica poteva diventare una macchia di gelato sulla tappezzeria. Una volta scesi io Gianna e Mirella ci davamo da fare per tener lontani i curiosi, soprattutto i bambini che quella “apparizione” su quattro ruote, volevano toccarla, accarezzarla e magari salirci sopra».

Le nostre due giornate in Cadillac si sono concluse – cnclude Minozzi – con il “rito” della pulizia della grande automobile. Edoardo puliva accuratamente l’interno e lavava la carrozzeria prima di custodirla nel sottoportico della società elettrica, messo a disposizione di mio zio dal suo amico Umberto Bucco, responsabile della sede avianese, allora in via Padre Marco, accanto all’attuale bar Unione.

Chiuso a doppia mandata quel “garage” improvvisato, potevamo tutti quanti dormire tranquilli, sapendo che la Cadillac “reale” era al sicuro». —


 

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