Il sigillo della città a Pierino: «Ha onorato l’arte della pizza»

UDINE. Se gli parli del sigillo della città che il Comune di Udine ha deciso di conferirgli quasi si indispettisce. «Non sono stato il primo a portare la pizza in città, ma di sicuro sono stato il migliore». Pietro Di Martino, in arte Pierino, nonostante sia andato “in pensione” nel 2018, con la chiusura del Rugantino, non ha dimenticato come preparare una pizza doc. Anzi, dimostra di saperci ancora fare tra mozzarella, passata di pomodoro e farina. Lo incontriamo nel locale gestito dal figlio Maurizio, “In Chiavris”. Ieri la giunta ha annunciato di volergli attribuire il sigillo per rendere merito «alla sua esperienza imprenditoriale, capace di arricchire la comunità cittadina con i valori di umanità e professionalità, espressione dell’Arte dei Pizzaiuoli, dal 2017 nella lista del patrimonio immateriale dell’Unesco».
Da Tramonti, nel Salernitano, al Friuli. Quando è avvenuto il grande passo?
«Sono arrivato a Udine nel 1970, a gennaio, avviando l’attività in via Aquileia. Avevo alle spalle un’esperienza di cinque anni a Palmanova. Da via Aquileia mi sono spostato in piazzale Cella, poi in Baldasseria con “Pierino”, infine in Chiavris con il “Rugantino”».
Qual è stato il suo segreto?
«Svegliarsi presto al mattino (ride)».
A parte questo?
«Non ci sono segreti, contano il mestiere e la qualità dei prodotti. Non vorrei essere cattivo, ma forse non siamo stati solo bravi noi, sono stati mediocri gli altri. Scherzi a parte, servono costanza, ricerca degli ingredienti, che devono essere di livello, e qualità nel servizio».
Ha cambiato il modo di concepire la pizzeria...
«La pizza l’avevano già inventata altri, abbiamo solo potuto ispirarci apportando qualche correttivo. Abbiamo avuto il merito di dare lustro alla pizza, mettendo in tavola tovaglie e tovaglioli di stoffa. Particolari che nessuno aveva curato prima di noi. Questo ci ha permesso di ampliare la clientela. Il fatto che la pizza sia considerata un piatto semplice non significa che debba essere sciatta. Le abbiamo fatto indossare un vestito più raffinato».
C’è una pizza che preferisce?
«Quelle “istituzionali” sono dieci, anche se ormai si trovano mille varianti. Come ho già detto non si inventa nulla, bisogna essere bravi ad assemblare gli ingredienti. Dal mio punto di vista la pizza per eccellenza è la Marinara, con aglio, origano e pomodoro, poi la Romana e ovviamente la Margherita, la regina di tutte le pizze. Ci possono essere anche le dediche: ad esempio la pizza “MieLa”, nata dalla fusione dei nomi delle mie due nipotine, Mila e Lara».
Che importanza ha avuto la città di Udine nella sua “carriera”?
«Amo in maniera viscerale questa città, che mi ha accolto bene fin dall’inizio. La gente ci vuole bene e noi vogliamo bene a loro. Ci siamo impegnati nel nostro lavoro e abbiamo anche fatto girare l’economia. In Baldasseria davamo lavoro a 25 dipendenti. Non sono pochi».
Com’è cambiata la clientela negli ultimi cinquant’anni?
«Negli anni ’70 in pizzeria si faticavano a vedere gli over 60. La pizza era un piatto per i giovani, i militari, per gente con lo stomaco duro. Ora tutto è cambiato e in pizzeria si vede gente di ogni età».
È ancora conveniente avere una pizzeria?
«Oggi c’è un’inflazione di locali, ma devo ammettere che rispetto agli anni ’70 non abbiamo mai perso fette di mercato, al contrario. Il miglioramento è stato costante».
Ha servito la pizza anche a personaggi importanti. Ne ricorda qualcuno?
«Da Craxi in giù molti sono stati i politici, ma anche i personaggi dello spettacolo e i calciatori. Abbiamo servito tutti, umili e ricchi: non volevamo solo i rompiscatole!».
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