Il Tribunale del riesame ha deciso: Blasoni resta in carcere

Trieste, respinta la richiesta di scarcerazione presentata dai legali del fondatore di "Sereni orizzonti" accusato di truffa ai danni di sei Regioni

TRIESTE. Quello di martedì 12 novembre, per Massimo Blasoni e Judmilla Jani, era il ventesimo giorno di custodia cautelare in carcere con l’accusa di truffa aggravata sull’assistenza prestata agli anziani nelle strutture della “Sereni Orizzonti”.

Il tribunale del riesame di Trieste avrebbe potuto decidere di non aggiungerne altri. E invece, l’auspicata attenuazione della misura non è arrivata. Nè per loro e neppure per gli altri quattro indagati - tre agli arresti domiciliari e uno con l’obbligo di dimora - che avevano presentato ricorso contro l’ordinanza applicativa emessa dal gip di Udine ed eseguita dalla Guardia di finanza lo scorso 24 ottobre.

Il tribunale della libertà, presieduto dal giudice Laura Barresi, ha confermato tutto, riservando l’unica eccezione a Marco Baldassi, considerato l’“uomo dei rendiconti” della società friulana e il braccio destro del patron Blasoni.

Passato già ai domiciliari il 4 novembre, dopo l’interrogatorio fiume reso al pm di Udine, Paola De Franceschi, titolare dell’inchiesta, si è visto revocare anche la misura meno afflittiva, riacquistando piena libertà.

«Mancavano del tutto le esigenze cautelari e gli indizi a suo carico erano tutt’altro che gravi», hanno commentato i suoi difensori, avvocati Luca Ponti e Giovanni Donazzolo. Per il resto, la situazione resta invariata e le motivazioni si conosceranno soltanto tra qualche giorno.

Blasoni, il socio di maggioranza e indiscusso numero uno della Sereni Orizzonti considerato dagli inquirenti la mente di un presunto piano finalizzato a incamerare contributi pubblici dalle Aziende sanitarie a fronte dell’erogazione di prestazioni socio-sanitarie al di sotto dei parametri di legge, ha appreso la notizia direttamente dai suoi difensori, gli avvocati Luca Ponti e Fausto Discepolo, quando gli hanno fatto visita nella casa circondariale di via Spalato in tarda serata.

Insieme ai suoi legali, sperava nella sostituzione della misura con i domiciliari, soprattutto alla luce delle otto ore di interrogatorio e le tante spiegazioni fornite al pm.

«Al riesame, ci siamo concentrati su un’attenuazione delle esigenze cautelari – ha spiegato l’avvocato Ponti –, ritenendo il carcere sproporzionato rispetto alla tipologia di reato e i domiciliari una misura funzionale a non alterare il quadro probatorio».

Identico il trattamento riservato a Judmilla Jani, direttrice di “Area 1”, detenuta nel carcere femminile del Coroneo, a Trieste, e difesa dallo stesso avvocato Discepolo. Che, sostenendo motivi argomentati anche dal resto del collegio difensivo, ha insistito sulla mancata coincidenza tra i valori di asserito minore minutaggio di assistenza contestati dalla Procura e quelli in mano alla società.

Ed è proprio a una «riconciliazione numerica» che la difesa punta di arrivare, per poter avviare poi un confronto con gli inquirenti.

Era e resta ai domiciliari, nella sua abitazione di Udine, Laura Spera, coinvolta in qualità di responsabile del personale. Anche nel suo caso, la difesa, rappresentata dagli avvocati Roberto Mete e Valentina Iaiza, ha evidenziato «l’obiettiva sproporzionalità» della misura coercitiva applicata a suo carico.

«Dispiace – hanno commentato i legali –. Eravamo convinti che i cambiamenti di assetto aziendale e le garanzie offerte avessero quanto meno attenuato le esigenze cautelari, specie per la nostra cliente, semplice dipendente priva di deleghe.

In ogni caso è già stato concordato il suo interrogatorio, con cui, ne siamo certi, chiarirà molte cose». Idem dicasi per Claudio Salvai, direttore dell’“Area 2”, difeso dall’avvocato Rossana Veneziani e per il quale sono stati confermati i domiciliari.

L’unico punto interrogativo resta aperto sulle sorti di Walter Campagnolo, sottoposto a obbligo di dimora: nella tarda serata di ieri, l’avvocato Maria Elena Giunchi ha detto di attendere «fiduciosa» l’esito del riesame.

L’udienza camerale si era aperta con la discussione del pm che, nel ripercorrere le fasi del procedimento, avevae esposto anche i nuovi elementi investigativi raccolti dopo l’esecuzione delle misure cautelari, soffermandosi in particolare sulle dichiarazioni con cui gli infermieri e gli altri dipendente sentiti a sommarie informazioni testimoniali e lo stesso indagato Federico Carlassara, responsabile del personale, avrebbero confermato la ricerca continua e costante degli allora vertici di abbattere i costi, pur se a discapito dell’assistenza.

Lette le motivazioni del riesame, il collegio difensivo valuterà la strada del ricorso per Cassazione. —

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