Il voto in Friuli: Berlusconi e Renzi all’apice prima dell’exploit di Salvini, ma la Dc resta irraggiungibile
UDINE. Un Friuli bianchissimo nella geografia politica della prima repubblica. Dal record del 61% dello scudocrociato al 42% del Carroccio, in mezzo 70 anni di storia elettorale. Decenni dominati dalla Dc, immutabile nelle sue granitiche certezze. Il primo vero sussulto, dal 1948 in poi, alle Europee del 1984.
Era appena morto Enrico Berlinguer, l’amatissimo leader del Pci, si andò alle urne in breve e l’onda emotiva si riversò sul voto: anche dalle nostre parti mai i comunisti si avvicinarono così tanto alla Dc.
Ma per il vero cambio di spartito bisognerà aspettare il 1994, quando irrompe sulla scena Silvio Berlusconi, all’epoca patron delle tv private Canale 5, Italia Uno e Retequattro e del Milan, che aveva portato nell’Olimpo del calcio mondiale.
Con Forza Italia fa subito boom pure la Lega Nord di Umberto Bossi. L’Ulivo prima prodiano e poi veltroniano, in quegli stessi anni, lotta e sgomita con il centrodestra, ma non sfonda mai con percentuali da record. E arriviamo ai nostri, schizofrenici, giorni.
Alle politiche 2013 esplode il fenomeno Beppe Grillo, con il suo Movimento Cinque Stelle che praticamente pareggia i risultati di Pd e centrodestra. Le Europee del 2014 segnano invece il trionfo dell’outsider Matteo Renzi, premier a soli 39 anni, sulla scia degli 80 euro in busta paga ai lavoratori dipendenti.
Altro giro, altra corsa, si arriva all’attualità, quando domenica la marea verde della Lega nazionale di Matteo Salvini ha sfondato quota 40 per cento. Una storia politica avvincente, per gli appassionati del genere. Fatta di idee, passioni, interminabili riunioni, vertici carbonari, scissioni, liti furibonde, alleanze prima fatte e poi disfatte, tradimenti e riappacificazioni.
Un Friuli Venezia Giulia che è stato, più volte in questi 73 anni di Repubblica, anche laboratorio per esperimenti che poi sono stati traslati a livello nazionale. Uno su tutti, la prima alleanza in Italia tra Dc e Pci in un Comune, precisamente a Staranzano, all’inizio degli anni Novanta.
Il regno della Balena bianca
Il padre della Dc friulana ha un nome di assoluto prestigio, quello di Tiziano Tessitori, che nel maggio del 1921 viene eletto nelle file dell’allora Partito popolare, il più giovane deputato d’Italia, con i suoi 26 anni.
Nel secondo Dopoguerra Tessitori, autonomista della prima ora, guida la Democrazia cristiana regionale con mano salda, tanto che le percentuali che il partito raggiunge tra Udine e Pordenone sono “bulgare”. All’appuntamento del 18 aprile 1948, quello della scelta dirimente tra blocco occidentale e Unione sovietica, la Dc in Friuli Venezia Giulia ottiene il 61,51%, percentuale mai più raggiunta da nessuna altra forza politica da allora fino a oggi.
Tradotto in voti sono oltre 288 mila suffragi, mentre il Fronte democratico si fermò a 101 mila, cioè al 21,73%. Nelle elezioni generali che seguirono tra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta, le percentuali della Democrazia cristiana veleggiarono stabilmente sopra il 40 per cento, sfiorando spesso anche il 50.
Nel 1963 il sogno di Tessitori diventò realtà e nacque la Regione autonoma a statuto Speciale, primo presidente Alfredo Berzanti, naturalmente democristiano.
La classe dirigente Dc tra gli anni Sessanta e Ottanta è composta da una “nidiata” che annovera nomi quali Antonio Comelli, Mario Toros, Giorgio Santuz (questi ultimi due furono anche ministri) e poi il primo eurodeputato Alfeo Mizzau, il triestino Sergio Coloni e tanti, tanti altri.
Negli anni Ottanta irrompe sulla scena Adriano Biasutti, decisionista e risoluto, sembra lanciato verso incarichi di governo a Roma, dopo aver guidato la Regione, ma la stagione di Tangentopoli gli tarpa le ali, a lui come a molti altri suoi colleghi.
I democristiani regionali sono, per la gran parte morotei o di Forze Nuove la corrente che fa riferimento a Carlo Donat Cattin, con un occhio sempre rivolto al sociale. Pochissimi i dorotei (decisamente più forti in Veneto) e ancora meno gli andreottiani (uno sparuto drappello operava nel Monfalconese).
Tra gli esponenti delle varie correnti non mancavano dissapori e sgambetti: del resto il partito comandava dai piccoli Comuni alla Regione e in tanti sgomitavano per avere un posto al sole. Fino agli anni Ottanta in un Friuli bianco c’erano poche eccezioni: la zona di Aquileia che era “rossa” e alcuni centri della Carnia, legatissimi alla socialdemocrazia.
Da segnalare, ancora, nella prima repubblica la nascita, l’ascesa e la parabola discendente del Movimento Friuli, che però non portò mai a Roma deputati o senatori, ma fece approdare in Regione un’agguerrita pattuglia di consiglieri.
La seconda repubblica
La “rottura” dello schema politico che ha governato il Paese e il Friuli Venezia Giulia si consuma nel biennio 1992-1994. Sono gli anni di Tangentopoli che spazza via il pentapartito, azzera il Psi craxiano, che nel decennio precedente aveva governato a braccetto con la Dc.
Sulla scena irrompe Silvio Berlusconi, l’imprenditore che fa sognare gli italiani con le sue televisioni e che fonda Forza Italia. Il cavaliere, come viene chiamato, salda un’alleanza di centrodestra con la Lega Lombarda di Bossi, un varesino ruspante e senza peli sulla lingua, e sdogana gli ex missini di Gianfranco Fini, che si trasformeranno in Alleanza nazionale. In quel marzo del 1994 il Friuli abbraccia il nuovo credo politico e lo premia alle urne.
I fondatori locali di Fi, ca va sans dire, sono due imprenditori, Paolo Molinaro e Manlio Collavini, il vignaiolo re della Ribolla gialla. Attorno a loro cresce in fretta una classe dirigente irrorata dagli innesti di ex socialisti come Ferruccio Saro, Renzo Tondo e Roberto Antonione.
La Lega nordista già nelle elezioni del 1992 porta in Parlamento, a sorpresa, ben quattro esponenti tra cui Roberto Asquini (sarà sottosegretario nel primo governo Berlusconi), Rinaldo Bosco e Roberto Visentin.
Nel ’94 si vota con il Mattarellum e nei collegi hanno la meglio molti leghisti come Raulle Lovisoni a Gorizia, Francesco Stroili a Gemona, Fiordelisa Cartelli a Pordenone, il chirurgo Carlo Sticotti e i riconfermati a furor di popolo Asquini, Visentin e Bosco.
La Lega comincia a radicarsi a livello locale, entrando nei consigli comunali ed eleggendo i suoi primi sindaci. Quel primo exploit del Carroccio e del centrodestra dura poco, anche in seguito alla caduta del governo Berlusconi e dell’arrivo a palazzo Chigi del tecnico Lamberto Dini. Il centrosinistra sale nel gradimento, ma il Friuli anche nel 1996 resta terra che guarda a centrodestra.
Discorso diverso per la guida della Regione che vede, da quando è in vigore l’elezione diretta del presidente, un’alternanza rigorosa: l’industriale Riccardo Illy poi Renzo Tondo, quindi Debora Serracchiani e ora Massimiliano Fedriga.
Il 2001 rappresenta il vertice più alto del centrodestra in regione: la Casa delle libertà raggiunge il 47,32% dei consensi, pari a oltre 380 mila voti, mentre l’Ulivo si ferma a 253 mila preferenze.
Altro picco importante per il centrodestra nel 2008, dove il Popolo della Libertà con alleata la Lega sempre bossiana riaggancia quota 47% e stacca di 12 punti l’Ulivo veltroniano alleato dell’Italia dei Valori di Antonio Di Pietro che dal Friuli manda a Roma l’avvocato cividalese Carlo Monai.
Ma ormai anche la parabola del berlusconismo si avvia al crepuscolo e le dimissioni del Cavaliere nel novembre 2011, in seguito allo spread fuori controllo, e i suoi innumerevoli guai giudiziari affievoliscono il sostegno che i friulani gli avevano sempre garantito in passato.
Renzi, Grillo e il voto a zig zag
Gli ultimi, caotici, anni, sono caratterizzati da una mobilità quasi schizofrenica degli elettori che non riescono a trovare una “casa” politica stabile. Accade in tutta Italia e il Friuli non fa eccezione. Nel 2013, alle politiche di febbraio, c’è il quasi pareggio tra il Movimento Cinque Stelle fondato da Beppe Grillo, il Pd di Bersani e il centrodestra ormai frammentato.
Ma la sorpresa più grande arriva esattamente un anno dopo, nel maggio 2014. Matteo Renzi, giovane e rampante ex sindaco di Firenze, si è impadronito del Pd con le primarie, ha fatto sloggiare da palazzo Chigi il pacato collega di partito Enrico Letta e ha messo in tasca ai lavoratori dipendenti 80 euro al mese.
Grazie al bonus per milioni di persone e alla sua immagine di freschezza e novità, Renzi porta il Pd alla vetta del 42,22% in regione, oltre 241 mila voti dentro le urne. Un risultato che per un partito che si richiama alla sinistra è un primato assoluto, mai raggiunto in precedenza.
Quell’appuntamento elettorale sembra la promessa di una fase di stabilità, con la vice segretaria nazionale del Pd Debora Serracchiani alla guida della Regione e i Comuni capoluogo in mano alla sinistra. Invece è solo un’illusione.
Il trend si inverte rapidamente, le decisioni di Renzi e soprattutto l’ostinazione con cui fa votare gli italiani su un referendum costituzionale che perde di brutto, cambiano ancora lo scenario. Nel 2018 la Lega ormai salviniana e nazionale si impossessa della Regione con Massimiliano Fedriga e il centrodestra completa la rincorsa nei Comuni: a Dipiazza a Trieste, Ziberna a Gorizia, Alessandro Ciriani a Pordenone, si aggiunge Pietro Fontanini, che espugna la roccaforte rossa di Udine. Il resto è attualità.
L’anno di governo gialloverde ha fatto bene alla Lega e ha nuociuto ai Cinque Stelle che, a dire il vero, in Friuli Venezia Giulia non hanno mai conquistato un Comune, nè hanno ottenuto percentuali in linea con il resto del Nord Italia.
Il Carroccio, domenica, si è spinto fino oltre il 42%, con punte del 45% nelle province di Pordenone e di Udine, un boom che rinverdisce i fasti della Dc dei tempi d’oro e del centrodestra a trazione berlusconiana. Vedremo adesso quanto durerà il feeling degli italiani e dei friulani per Matteo Salvini.
Il “capitano” è indubbiamente popolarissimo, ma come insegna il caso Renzi, in tempi in cui un presidente americano come Trump governa a colpi di tweet, ascese e cadute, in politica, sono vertiginose. Dovremo abituarci, probabilmente, alle montagne russe. —
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