Ilaria Alpi, 31 anni senza la verità: il regista Vicentini Orgnani: «Per il film arrivate 18 querele»
Il friulano nel 2003 ha portato nelle sale il film sull’inviata del Tg3 uccisa in Somalia, insieme cineoperatore Miran Hrovatin. «Querele tutte archiviate»

Trentuno anni fa, era il 20 marzo, l’inviata del Tg3 Ilaria Alpi e il suo cineoperatore Miran Hrovatin furono uccisi a Mogadiscio nel cuore pulsante di un’inchiesta che voleva scoperchiare pentole bollenti: traffici di armi e rifiuti tossici, faccende scomode per certi potenti in una Somalia perseguitata dalla guerra civile.
A ora non esiste alcun colpevole del duplice omicidio. C’è solo un capro espiatorio, tale Hashi Omar Hassan, condannato, finito in gattabuia per diciotto anni, quindi scarcerato perché innocente, risarcito con tre milioni e mezzo di euro, e fatto fuori.
Il regista friulano Ferdinando Vicentini Orgnani, che debuttò al cinema con “Mare Largo” nel 1998, rigirò a lungo fra le mani un copione «per nulla all’altezza», ricorda lui, proprio per ridare colore sul grande schermo a una tragedia senza mani criminali insanguinate.
«Credo se ne fossero interessati Ricky Tognazzi e Marco Risi, prima di me. A quel punto incontrai assieme ai produttori i genitori di Ilaria con un bel po’ di scetticismo addosso. Temevo che questo tipo di pellicole diciamo consolatorie non servissero a un granché. Invece finalmente compresi l’importanza di un gesto a dir poco necessario e riscrissi la sceneggiatura assieme a Marcello Fois, cominciando a girare nel 2002 fra il Friuli Venezia Giulia e il Marocco.
“Ilaria Alpi – Il più crudele dei giorni”, con Giovanna Mezzogiorno, uscì in sala l’anno successivo. In questi ventidue anni dal debutto abbiamo subìto diciotto querele (sette io, cinque la Rai, quattro Fois, una il musicista Paolo Fresu e una Cinecittà) tutte archiviate. L’ultima sentenza è del mese scorso con la quale è stata rigettata la richiesta di appello del faccendiere italiano Giancarlo Marocchino, condannandolo al risarcimento danni a favore dei querelati».
Nonostante due decenni di passione, che sembrano decisamente finiti, l’averla raccontata questa sciagura è servito intanto a impedire alla memoria di perdersela, nonché a innescare utili reazioni.
«Indubbiamente il cinema ha contribuito a tenere sveglio il ricordo e a diffondere nel mondo cosa accadde in quel maledetto 20 marzo 1994. Ventisette sono i Paesi che hanno acquistato il titolo e centinaia di scuole ogni anno proiettano “Ilaria Alpi”. La Rai lo annunciò una sola volta senza repliche. I processi ne bloccarono la messa in onda. Merito del film, comunque, furono istituite due commissioni parlamentari. Non fu affatto inutile produrlo, né tanto meno consolatorio come erroneamente pensavo».
Un viaggio cinematografico che prevedeva soste nella Venezia Giulia e in Marocco. Somalia out?
«Assolutamente sì, la guerra ci impedì di portare con serenità una troupe e un cast senza preoccupazioni. Scelsi fra l’altro El Jadida, una cittadina a cento chilometri a Sud di Casablanca. Individuammo pure una strada che pareva la copia precisa di quella somala costruita con i soldi della Cooperazione lungo la quale avvenne l’agguato. Non distante Ridley Scott girò “Il Gladiatore”».
Si ricorda di aver avuto problemi durante le riprese?
«Con le comparse somale, certo. Sparirono tutte al momento del ciak. Per interpretare l’autista della Alpi ci affidammo a un avvocato nato in Somalia che viveva da anni in Canada e conosciuto a Roma. Lui accettò, ma volle essere pagato come un attore e, se non ricordo male, si portò a casa oltre venti mila euro. Durante la post produzione mi chiamò un responsabile della Rai spiegandomi che se avessi voluto vedere il film in Tv sarei stato costretto a tagliare cinque scene. Una specie di invito a cura dei servizi segreti. Alla fine sforbiciai qualcosa. E intendo dei riferimenti ad alcuni personaggi».
Appena fu istituita la commissione parlamentare arrivarono le querele?
«Per tutelarsi molti agirono contro di noi, sperando soprattutto di far lievitare il loro conto in banca. Anche la vedova Hrovatin ci querelò per l’atteggiamento dell’attore Rade Šerbedzija che fumava e beveva, vizi che Miran, in realtà, non aveva. Ma la causa non andò avanti. Il fatto davvero surreale è che anche il povero musicista Paolo Fresu sia stato messo al muro. Una follia. Ma ora è finalmente tutto finito».
Ma furono desecretati i documenti sull’attentato?
«Durante il governo Renzi, sì, ma solamente una piccola parte del faldone. Quindi, ne sappiamo come prima».
Misteri irrisolti come parecchi altri italiani.
«Probabile, ma non si può mai dire».
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