Immigrazione, parla l'esperto: «Non esiste emergenza legata ai numeri: c’è chi vuole creare panico tra la gente»

Lo studioso di fenomeni migratori Gianfranco Schiavone: il modello di accoglienza della Cavarzerani non funziona. «La rotta balcanica è sempre attiva, ma tra il 2017 e il 2019 gli arrivi sono stati di gran lunga superiori rispetto a oggi»
Udine 3 agosto 2020 Protesta in cavarzerani ©Foto Petrussi
Udine 3 agosto 2020 Protesta in cavarzerani ©Foto Petrussi

UDINE. Nega che in questo momento, in Friuli Venezia Giulia, vi sia «un’emergenza legata al numero dei migranti presenti». Ammette che, a causa delle limitazioni per i protocolli Covid, sia «più complesso e faticoso organizzare l’accoglienza sul territorio». Infine lancia dure accuse alla giunta regionale di centrodestra e a quella del Comune di Udine «c’è la volontà di creare panico tra la popolazione, con spregiudicatezza».

Gianfranco Schiavone è il vice presidente nazionale dell’associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi), nonchè esperto di flussi migratori e, in particolare, profondo conoscitore della cosiddetta rotta balcanica.

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Udine 3 agosto 2020 Protesta in cavarzerani ©Foto Petrussi


Dottor Schiavone, le cronache degli ultimi giorni sembrano evidenziare che ci sia una ripresa vigorosa degli arrivi di clandestini dal confine sloveno. È una lettura parziale?

«Guardi, la situazione non ha caratteristiche emergenziali. Le cifre che abbiamo in mano e che illustreremo nella conferenza stampa di mercoledì (domani al centro Balducci, ndr) sono chiari: da gennaio a giugno 2020 gli arrivi sono stati inferiori rispetto allo stesso periodo del 2019. Credo che i fatti di questi giorni siano solo un tentativo di far percepire alla gente problemi che, in realtà, non ci sono. La strategia è sempre la medesima: la volontà, da parte del governo regionale, di creare panico e tensione per motivazioni politiche. Il tutto amplificato dalla pandemia di Covid».

A Udine centinaia di migranti sono ammassati in una caserma. Che ne pensa?

«Non è il modello di accoglienza a cui noi facciamo riferimento. Questo è un modello “concentrazionario” che crea visibilità e allarme. Un modo perfetto per far alzare la tensione e la paura tra i cittadini. L’accoglienza diffusa è un sistema molto più efficace che a Trieste, per esempio, si applica. E la zona rossa nella Cavarzerani ha solo alimentato problemi maggiori. Perchè si è scatenato un allarme così grande per un paio di giovani positivi al Covid? In questi mesi è l’evento più banale che possa esserci. Non c’è nulla di strano, ricordiamoci che esiste una pandemia mondiale in corso».

I tanti arrivi via terra di questi giorni, però, fanno paura a molti. È davvero impossibile fare qualcosa per limitare al massimo gli accessi?

«La rotta balcanica è ancora attiva, non si è mai chiusa e non può essere diversamente. Ripeto non c’è niente di particolare o di eccezionale negli ultimi mesi. Ogni arrivo è amplificato dall’emergenza Covid».

Ma allora adesso è più arduo fare accoglienza?

«Certamente. L’organizzazione dell’accoglienza è più complessa e faticosa, da parte della Prefettura, delle amministrazioni locali e degli operatori, è fuori di dubbio».

Lei sostiene che il 2020 non è un anno record per gli arrivi. In passato è andata peggio allora?

«Sì, gli anni con ingressi più intensi sono stati il 2019 e il 2018. A questi ci aggiungerei il 2017. Tutti gli ultimi tre anni sono stati caratterizzati da flussi di immigrazione irregolare più robusti rispetto a oggi».

Da dove arrivano i profughi?

«Le nazionalità più rappresentate sono tre: pakistani, afghani, iracheni. Poi ci sono cittadini dell’Iran, dello Sri Lanka e di altre zone del Medio Oriente. In due dei principali Paesi (Afghanistan e Iraq) vi sono guerre dichiarate o striscianti o intermittenti. Quasi tutti questi immigrati sono dei rifugiati a tutti gli effetti. E infatti la stragrande maggioranza, il 99 per cento, ottiene il riconoscimento di protezione internazionale».

L’Italia, per loro, non è un punto di approdo, par di capire...

«In Italia sono sempre di passaggio, il nostro Paese non è la meta finale, per nessuno. L’obiettivo è la Germania, o qualche Paese del Nord Europa, dove l’economia è migliore e c’è un sistema sociale che valorizza la loro presenza, dove esistono strutture a loro dedicate e iniziano i corsi di lingua fin dal primo giorno di arrivo. E comunque qui in Italia il clima è cambiato».

Cioè?

«Viene percepito un atteggiamento ostile nei loro confronti. E ciò aumenta, negli immigrati, la tendenza ad abbandonare l’Italia il prima possibile. I più istruiti, che hanno due lauree, qua al massimo trovano un posto da manovale, è logico che vogliano cercare sistemazioni migliori».

Per evitare in futuro rivolte come alla Cavarzerani cosa bisognerebbe attuare, a suo avviso?

«Ribadisco intanto che quella rivolta è voluta da chi ha un certo interesse, da chi ha creato il ghetto. Si è trattato di una manna dal cielo per certi politici che vogliono creare un clima di ansia. La soluzione è l’accoglienza diffusa e lo smantellamento di questi spazi di “concentramento”, strutture dove non devono rimanere in quelle condizioni. Sarà un processo difficile e lento, ma non vedo alternative».

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