Imparare a risollevarsi La seconda vita di Moira più forte del destino

Coach e atleta, è diventata modello per molti 

il racconto

moira casonatto

Venerdì 28 settembre 2018: suona la sveglia, devo dire che sto proprio bene sotto le coperte. Dopo un agosto davvero difficile per un virus che mi ha fatto passare le mie 3 settimane di ferie a letto, finalmente sto recuperando, sento che l’energia piano piano sta tornando. Ma uscire a correre è ancora peggio della fatica di Sisifo. Ma per resilienza e forza di volontà potrei veramente concorrere all’Oscar, Non è un caso se sono un coach.

Ok, si va. All’inizio le gambe sembrano conficcate nell’asfalto, poi piano piano si sciolgono e sul mio viso inizia a risplendere un sorriso. Il potere che la corsa e l’attività fisica in genere hanno su di me. Sono contenta. Godersi l’alba nella mia bella città è uno di quei piaceri che mi regala tanto carburante per affrontare la giornata. Arrivo a quel passaggio pedonale, quello che la mia mente avrebbe ripercorso milioni di volte dopo quel venerdì. Mi fermo. Tutti si fermano e mi lasciano passare. A 50 centimetri dall’entrata nella pista ciclabile, con la coda dell’occhio mi accorgo che la macchina che arriva dalla rotonda non ha nessuna intenzione di fermarsi, corro ma, per un momento, mi scaraventa tutto il suo peso sulla caviglia lanciandomi per aria. Sono preparata alla caduta, per fortuna riesco a controllarla ma non riesco a sottrarre la mia gamba all’impatto. Cado, provo a rialzarmi... Non è possibile.

Da quel momento un dolore lancinante ha offuscato tutto. Quel momento ha cambiato la mia giornata e, ancora una volta, mi ha messo di fronte ad uno dei momenti più duri e intensi della mia vita. Trauma cranico e frattura cruenta scomposta al malleolo peroneale, questa la diagnosi di quel momento. Quando me lo hanno detto solo un pianto disperato per buttare fuori tutta la paura, la rabbia, l’incredulità, la frustrazione, la pesantezza di un presente troppo duro da accettare.

Da qui in poi, prima l’intervento per rimettere insieme l’osso con placca e viti e “inchiodare” la caviglia per darle la possibilità di riportarmi a correre in futuro. Due mesi di immobilità con gesso e chiodo. Le prime settimane in carrozzina perché stare sulle stampelle era dolorosissimo. Essendo una libera professionista e vivendo da sola, questi primi mesi sono stati davvero i più duri, al tempo stesso i più belli: le relazioni costruite nel tempo sia professionalmente sia personalmente sono state un carburante prezioso nella ripresa. La mia famiglia e alcuni cari amici poi, mi hanno sostenuto nei momenti in cui tutto sembrava davvero troppo. Ho imparato a chiedere aiuto; ho imparato a lasciar andare; ad andare avanti e sorridere nonostante le buche; sempre avanti, accogliendo i momenti duri come una preparazione faticosa ai momenti belli.

Martedì 27 novembre mi hanno tolto il chiodo che mi teneva bloccata la caviglia. Per la placca e le viti mi hanno dato appuntamento a fine 2019/metà 2020 (qualora fosse andato tutto bene). Lunedì 3 dicembre ero già in palestra per il recupero funzionale e muscolare. La mia gamba si piegava solo a 90 gradi. Il lavoro da fare era davvero intenso. A metà dicembre ho iniziato a camminare senza stampelle. Il mio primo km senza stampelle è stato epico: 2 ore e mezza con gli occhiali da sole per gustarmi le lacrime in solitudine.

In palestra, ho avuto la fortuna di incontrare Tommaso Ros, un ragazzo straordinario, laureato in scienze motorie e con un master sul recupero funzionale degli atleti. Per la fisioterapia, sono stata altrettanto fortunata affidandomi alla competenza e all’esperienza di Roberto Busetto e del suo team. Con loro e altre persone speciali, il mio Dream Team era al completo. Il viaggio è stato bello intenso. Secondo i medici, nelle varie visite di controllo, prima di ritornare alle mie corse e alle mie camminate in montagna sarebbero passati anni. Ma loro non sapevano niente di me, della mia forza di volontà, del mio rapporto con la fatica, del mio cuore, del mio amore per la vita, eh no decisamente non ero una paziente da protocollo standard. Una guarigione non è mai solo una questione di meccanica.

A gennaio la mia prima marcia camminando e da lì in poi tante altre. La placca disturbava un po’, ma la mia gamba stava tornando. A fine febbraio, alla visita di controllo, mi dicono con un po’ di stupore che la frattura si è ben rimarginata, comunque la placca sarebbe stata rimossa nei tempi stabiliti e che dopo avrei potuto riprendere la corsa molto gradualmente. La placca però, a me dava un gran fastidio sia nel movimento sia nel contatto con la scarpa.

Vado allora a fare una visita con un Medico, uno di quelli che ti guarda, che ti vede, uno dei pochi che ha toccato la mia caviglia e ha sentito tutta la mia voglia di tornare appieno alla mia vita.

Quando mi ha detto «Moira, la placca non ti serve più, la togliamo. E poi, riassorbiti i punti, torna pure a correre. La tua caviglia sta bene», mi è esploso un «La posso abbracciare?». In ogni percorso sono le Persone a fare la differenza e lui per me ne ha fatta molta: mi ha fatto sentire che non ero incosciente, che non dovevo avere paura, il lavoro fatto era stato affrontato con grande impegno e responsabilità, con consapevolezza e i risultati erano davvero grandi. Potevo ritornare alle mie passioni. Grazie di cuore, dottor Sandro Crovato, sei un grande! I primi di aprile mi hanno tolto la placca, il 26 i punti erano del tutto riassorbiti e il pomeriggio dello stesso giorno ho fatto il mio primo allenamento di corsa.

Non so descrivere quello che ho provato quel giorno…ma per certe emozioni non esistono parole. Da quel 28 settembre a oggi 1300 km di allenamento, 200 ore di palestra e fisioterapia, tutto incastrato per far fronte ai miei numerosi impegni in un momento molto difficile anche professionalmente. Il 2 giugno ho corso i 30 km della Cortina-Dobbiaco, il 16 giugno i 27 km con 1700 m di dislivello positivo del Trail La Selvarega nella Val Canzoi, il 25 agosto i 22 km con 1700 m di dislivello positivo del Trail-Race delle Dolomiti Friulane a Forni di Sopra. No, non erano gare, erano il mio andare avanti, il mio voler dare un messaggio di speranza a chi si scoraggia di fronte agli sberloni della Vita.

No, non sono una performer, ma a quei traguardi e a diversi altri, anche al di fuori della corsa, ci sono arrivata con tutta me stessa.

Sabato 21 settembre, a un anno meno una settimana dall’incidente, avrei voluto festeggiare questo percorso incredibile con il Delicious Trail a Cortina, 44 km per 3240 m di dislivello positivo, a un passo dal cielo dentro la storia. Purtroppo, a qualche giorno dalla gara, un problema muscolare ha deciso che dovevamo rinviare i festeggiamenti. Ma, come diceva qualcuno, è durante gli allenamenti che si vincono le medaglie, in gara si va solo a ritirarle. E per il ritiro ci saranno altre bellissime occasioni. —

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