Imprenditori mafiosi, blitz a Udine e Palermo

Imprenditore o mafioso? L’una e l’altra professione insieme, al servizio esclusivo di Cosa nostra - e in particolare dei Madonia e dei Galatolo -, dalla lontana e prospera terra friulana.
Questo era Domenico Graziano, palermitano trasferitosi a nord-est con la famiglia alla fine degli anni Novanta e deceduto nel 2013, all’età di 76 anni, dopo che gli affari lo avevano riportato in Sicilia, e questo si ritiene sia diventato anche suo figlio Camillo, che di anni ne ha 48. Entrambi residenti a Tavagnacco e con un profilo delinquenziale tale, da finire sul libro nero delle Direzioni investigative antimafia di Palermo e di Trieste.
Ecco la mappa dei beni confiscati realizzata da Confiscati Bene (dati dell'Agenzia nazionale dei beni sequestrati e confiscati)
Il blitz con cui i finanzieri del Nucleo speciale di Polizia valutaria del capoluogo siciliano, in collaborazione con i colleghi friulani, hanno proceduto nelle scorse ore al sequestro di beni per un valore complessivo di circa 7 milioni di euro, tra Palermo e l’hinterland udinese appunto, la dice lunga sui sospetti di contiguità agli ambienti di Cosa nostra che continuano a pendere sul conto della famiglia. Anche perchè, a connotare con marchio indelebile la dinastia dei Graziano sono le “gesta” di Vincenzo, il fratello minore di Domenico, a sua volta friulano d’adozione (anch’egli spostò qui moglie, figli e una parte delle attività), condannato in via definitiva già due volte per associazione a delinquere di stampo mafioso e tutt’ora in carcere con l’ulteriore accusa di avere fatto parte del commando che avrebbe dovuto fare saltare in aria il pm Nino Di Matteo.
La misura di prevenzione disposta dal tribunale di Palermo - trattandosi di provvedimento di natura amministrativa, viene emesso su base indiziaria ed è prodromico alla successiva confisca del medesimo patrimonio - comprende 81 beni immobili, tra fabbricati e pascoli, quattro società, un’auto e un’imbarcazione. La fetta friulana è distribuita tra il civico 129 di via Cotonificio, a Udine, e i civici 28, 30 e 32 di via Madonnina, a Tavagnacco, dove risulta avere sede e locali la “Nord Costruzioni srl”, il cui unico socio era ed è ancora Domenico Graziano. Nel provvedimento si parla anche della “Nuova Nord Immobiliare srl”, indicando come unico socio il figlio Camillo, ma precisando trattarsi probabilmente di un’intestazione fittizia.
Per entrambi, la misura muove dalla medesima ipotesi accusatoria: padre e figlio avrebbero giocato il ruolo di «imprenditori edili mafiosi» e, in quanto tali, ricadrebbero nella categoria dei «soggetti socialmente pericolosi». Il quadro tracciato a loro carico è il risultato di una serie di elementi investigativi: oltre alla stretta parentela con il boss “Viciuzzu”, reggente delle famiglie dell’Acquasanta nel mandamento di Resuttana dal 2014, pesano «il continuo e apparentemente immotivato travaso di ingenti somme di denaro documentato fra i discendenti di Vincenzo e Domenico», i procedimenti giudiziari avviati nei loro confronti fin dal 1992, le numerose dichiarazioni rese da una serie di collaboratori di giustizia (da Gaspare Mutolo a Salvatore Cucuzza e da Francesco Onorato a Vito Galatolo), le intercettazioni disposte dalla Procura di Trieste e l’informativa del Ros dei carabinieri di Udine (quest’ultima attestante la presunta esistenza di un unico gruppo fra le varie società riconducibili ai fratelli Vincenzo e Domenico Graziano, nei quali un ruolo chiave sarebbe quello assunto da Camillo).
«Su ogni affare condotto nella lunga vita professionale di Domenico Graziano – è l’ipotesi degli inquirenti –, cade il sospetto dell’arricchimento ottenuto con metodo e finalità mafiosa, che porta a ritenere le sue attività imprenditoriali e l’impiego degli utili che ne sono derivati, solo apparentemente leciti, frutto dell’attività illecita. Lo stesso deve dirsi degli acquisti fatti dalle società a lui direttamente o indirettamente riconducibili».
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