In migliaia per l’addio a Marco Tondat. L'ultimo bacio di mamma Gemma alla foto del figlio

CORDOVADO. L’ultimo bacio di mamma Gemma al volto sorridente del figlio Marco, impresso sulla foto della sua bara, avvolta dal tricolore e coperta dalle rose rosse lasciate dai suoi cari.
Alle quali, nel corso del funerale in un duomo di Cordovado che non ha potuto contenere la folla, si è aggiunta una margherita, posata dalla figlioletta, il cui nome era impresso in un cuscinetto di fiori accanto alle rose.
Immagini tristi, di un dolore però sempre composto e carico di dignità, al funerale di Marco Tondat, l’uomo di 39 anni ucciso dai terroristi fondamentalisti nell’agguato al ristorante di Dacca, in Bangladesh, al quale sono accorse circa 2 mila persone.
Un addio tra le riflessioni dell’omelia del vescovo della diocesi di Concordia-Pordenone, monsignor Giuseppe Pellegrini, in linea con quanto aveva indicato il fratello di Marco, Fabio Tondat.
Riflettere, perché Marco è morto a 39 anni non per una malattia o un incidente, ma per un atto di odio che con qualsiasi religione non ha nulla a che fare. In tanti hanno voluto stringersi attorno alla famiglia Tondat, colpita dall’orrore di Dacca come tutta l’Italia.
Già dal mattino, alla camera ardente allestita al palazzo municipale. Alla quale, un’ora prima del funerale, sono arrivate le autorità tra le quali la presidente della Regione Debora Serracchiani, che si è trattenuta a lungo con Fabio Tondat.
«La Regione vuole essere vicina alle famiglie Tondat e Rossi – ha detto all’uscita -. L’impegno per il loro riconoscimento di vittime del terrorismo è una promessa: ne ho parlato con il ministro Gentiloni e faremo la nostra parte».
Poi la formazione del corteo da piazza Cecchini al duomo nuovo di Sant’Andrea. Ad aprirlo le corone della presidenza del consiglio dei ministri e del consiglio comunale, oltre ai gonfaloni dei comuni. In duomo era già collocata, con accanto i carabinieri in alta uniforme, la corona della presidenza della Repubblica.
In testa al corteo i familiari, tra i quali il fratello Fabio, la madre Gemma Drigo, la figlioletta di Marco Tondat con la madre. Accanto ai parenti è sempre rimasto il sindaco Francesco Toneguzzo, che prima di andare a Roma ad accogliere il feretro proveniente da Dacca aveva detto: «Vado a riprendermi un figlio e riportarlo a casa».
Dietro, tanti sindaci friulani (alcuni dei quali hanno proclamato il lutto cittadino, come a Cordovado) e veneti. Attraversato il paese, tra negozi chiusi e tricolori listati a lutto, l’ingresso in un duomo già gremito mezz’ora prima della cerimonia.
Nei primi banchi hanno trovato posto i familiari, sguardo carico di dolore ma composto, e le autorità, tra cui rappresentanti di prefettura, questura, forze dell’ordine e consiglio regionale. C’erano le sorelle di Cristian Rossi, l’altra vittima friulana di Dacca, Cristina, Daniela e Gabriella, oltre al cognato Roberto Padrini.
«La famiglia Tondat – ha sottolineato Cristina Rossi - ha voluto che ci sedessimo vicino a loro. È stato un momento molto toccante anche per noi, volevamo condividere il dolore e dare un supporto». Al funerale di Cristian, venerdì, avevano partecipato Fabio Tondat e il sindaco Toneguzzo.
«La vita del nostro fratello Marco e delle altre persone uccise con lui – ha detto nell’omelia monsignor Pellegrini - è stata spazzata via dalla follia terroristica e omicida di sei giovani benestanti, che hanno fatto diventare violenza e massacro un ideale di vita, per cui valeva la pena perdere la propria stessa vita. Come è possibile un tale cammino di barbarie?»
La strada indicata dal presule non è quella della rassegnazione né quella della vendetta o dell’odio, che innescherebbe nuove violenze. Richiamando papa Francesco, il vescovo ha indicato che la croce di Cristo si rivede nei fondamentalismi e nel terrorismo.
Invece «la Parola di Dio ci offre un messaggio di consolazione e speranza, con la certezza che tutto ciò che oggi deturpa e rovina la vita, un giorno scomparirà». Per far posto a un «mondo nuovo, dove regneranno amore, pace e giustizia.
Dio stesso si impegnerà in prima persona con la forza della sua tenerezza e misericordia. Potrebbero sembrare solo belle parole consolatorie.
Ma non è così, perché Gesù ci ha testimoniato l’amore e la compassione del Padre. L’odio e la ferocia disumana di questo attentato ci permettono di capire e comprendere ancora di più forza e valore delle parole di Gesù in croce: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno».
E al ladrone pentito: “Oggi con me sarai nel paradiso”». Marco in croce come Gesù, che non ha chiesto vendetta, ma perdono: «Anche se non è facile da accettare, il Signore ci invita ad abbandonare sentimenti di odio e vendetta.
Possono salvare il mondo solo amore e misericordia di Dio per gli uomini e degli uomini tra di loro. Dobbiamo ribadire con fermezza e coraggio – ha aggiunto monsignor Pellegrini - che pace e giustizia si raggiungono soltanto quando siamo capaci di mettere al centro della convivenza sociale e civile amore e perdono.
Significa credere che anche per la persona più crudele ci può essere salvezza e redenzione, a condizione però che si rivesta di sentimenti di amore, giustizia e rispetto verso gli altri. Il vero credente non potrà mai giungere a compiere tali atrocità e crudeltà, perché Dio, qualsiasi sia il credo e la religione, è ricco di amore e di misericordia.
Ecco perché chi offende l’essere umano, offende anche Dio. Solo così il sacrificio di Marco e di tantissime altre persone, vittime di odio e terrorismo, non sarà stato vano».
Ed ecco come Marco è stato ricordato: «Una persona sorridente e solare, con tanta voglia di vivere, un cuore grande che batteva non solo per sé ma anche per gli altri. Lo possono ben testimoniare mamma Gemma, il fratello Fabio e i tanti amici.
Aveva lasciato l’Italia, stanco del precariato, alla ricerca di qualcosa di più sicuro e stabile. Desiderava vivere una vita piena di felicità, facendo sempre del bene a tutti.
E’ necessario che la comunità internazionale, abbandonati i particolarismi segnati da ambizioni di guerra fredda, reagisca con fermezza a queste barbarie e insieme crei progetti comuni in difesa dei diritti dei popoli e della persona umana, garantendo la piena dignità di ogni individuo.
Si spendono ancora enormi cifre per armi e mezzi di distruzione. È necessario creare una cultura e una mentalità di pace e di giustizia». Poi il corteo fino al cimitero di Cordovado, lasciando rose bianche sulla bara, per l’ultimo viaggio terreno di Marco Tondat.
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