In regione il 42 per cento dei friulani è gia al lavoro: in diecimila rischiano il posto per l'emergenza coronavirus

UDINE. Il numero esatto non è noto, ma secondo i sindacati è vicina alla realtà la stima di circa 200 mila, tra lavoratori e titolari d’impresa, sono in attività (42%), mentre 300 mila sono a casa a causa dell’emergenza Covid-19 (circa il 58% del totale occupati del Friuli Venezia Giulia).
Sono gli effetti, da un lato, della chiusura delle aziende imposta dall’emergenza sanitaria, e dall’altra del permanere in attività di aziende (mai sospese) e della ripartenza di quelle autorizzate. Va detto che rispetto a coloro che sono costretti a casa, non tutti hanno una garanzia adeguata a copertura del proprio reddito.
Di certo non ce l’hanno i dipendenti a tempo determinato al quale è scaduto il contratto, né gli stagionali che speravano in un’occupazione nell’immediato futuro. Né gli imprenditori. Non sono ricchi gli assegni previsti dalla cassa integrazione in deroga. Anche la cassa ordinaria decurta della metà la retribuzione ordinaria. E sappiamo che le altre formule di sostegno, varate dal Governo, si posizionano su livelli modesti.
I settori
Fatti salvi i settori strategici e quelli essenziali (ricordiamo quello agricolo, l’alimentare, l’agroindustria, il medicale, il commercio alimentare, le farmacie, le edicole, i tabaccai ecc. ovvero tutte le attività escluse dal Decreto della presidenza del consiglio dei ministri di marzo che ha fatto scattare la fase del lockdown, termine inglese che ormai abbiamo ben imparato a conoscere e che potremmo tradurre con “Chiudi Italia”), buona parte del sistema economico del Friuli Venezia Giulia, e del resto del Paese, è fermo da settimane.
Dopo le prime disposizioni che hanno riguardato bar, ristoranti, pizzerie, commercio al dettaglio, che risalgono ai primi di marzo, il successivo decreto ha interessato le altre realtà economiche e produttive, confermando la permanenza in attività per alcune, e stabilendo la chiusura per altre.
I numeri
I calcoli effettuati esclusivamente sulla base dei codici Ateco, stimano in 52 mila circa le attività autorizzate a restare operative in Fvg su un totale di circa 128 mila tra imprese e unità locali iscritte alle Camere di commercio della regione.
Lavoro
Venendo agli occupati, nel 2019 la media in Fvg è di 511.500, di cui 411 mila 700 dipendenti e 99 mila 900 indipendenti. Nei 411.700 lavoratori dipendenti sono compresi i circa 90 mila “pubblici” (alle dipendenze dello Stato, della Regione, dei Comuni, della Scuola, delle Forze dell’ordine, della Sanità, di Inps, Inail ecc.).
Finché non saranno resi noti i dati relativi alle richieste di accesso agli ammortizzatori sociali (cassa integrazione, fondo di integrazione salariale, cassa in deroga ecc.) avere cifre precise non è possibile. Ma secondo i sindacati ipotizzare una assenza dal lavoro di circa 300 mila persone tra dipendenti, titolari d’impresa, collaboratori, non dovrebbe essere azzardato.
Disoccupazione
Così come non è irragionevole ipotizzare che questa emergenza sanitaria riverbererà i propri effetti anche sull’occupazione. Naturalmente partendo dalle imprese. Non ci sono garanzie che tutte le attività che hanno abbassato le serrande saranno in grado di rialzarle.
Le grida d’allarme si moltiplicano e provengono da tutti i settori. Piangono il commercio, in affanno ormai da febbraio, la ristorazione, il turismo. Ne possiamo dimenticare l’industria, dalla meccanica al mobile, dalla cantieristica alla siderurgia, comparti caratterizzati da pochi grandi gruppi e miriadi di micro e piccole imprese. E nemmeno l’edilizia.
Anche qui il sindacato regionale ritiene che il “conto” sarà pesante: circa 10 mila posti di lavoro andranno perduti a causa dell’emergenza coronavirus. Il che significa che si sommeranno altre 10 mila persone al saldo di 33 mila 300 disoccupati registrato a fine 2019.
Ripartire
E’ intuibile che prima l’economia riuscirà a rimettersi in moto, prima sarà possibile cercare di arginare gli effetti nefasti dell’emergenza sanitaria. Ma “come” ripartire? In Fca hanno cercato di individuare una via definendo, insieme alle organizzazioni sindacali, un’intesa.
L’accordo, siglato giovedì 9, indica tutte le misure necessarie per la tutela della salute dei lavoratori e può diventare un modello per le altre imprese che dovranno affrontare la Fase 2 dell’emergenza. Si va dalla misurazione della temperatura a tutte le persone che entreranno in azienda, all’uso obbligatorio delle mascherine chirurgiche per tutti i lavoratori (ne saranno consegnate due per ogni turno).
Fca attrezzerà tutte le aree di lavoro, di relax, i servizi igienici o gli spogliatoi con materiale sanitario (gel igienizzanti, saponi più aggressivi per i microrganismi, kit per le pulizie delle superfici). L’accordo, che ha ricevuto anche l’approvazione del virologo Roberto Burioni, prevede il mantenimento della distanza di almeno un metro, la sanificazione degli ambienti, procedure per evitare assembramenti nelle mense e negli spogliatoi, uso dello smart working e formazione del personale.
Prima dell’avvio delle attività produttive sarà inviato tramite WhatsApp e email a ogni lavoratore un pacchetto di informazioni con le misure da adottare in ogni reparto.
Quando?
In attesa del via libera del Governo, rimandato a maggio, con qualche allentamento atteso per la prossima settimana, i sindacati frenano rispetto allo scalpitare delle imprese e lanciano la fase dei controlli.
Di fronte alle «deroghe delle prefetture, molte aziende metalmeccaniche della provincia di Udine - spiegano dalla Fim Cisl - hanno ripreso l’attività e altre si stanno preparando alla riapertura».
Pur «consapevoli delle difficoltà economiche che il fermo produttivo sta generando, siamo convinti, che senza avere le opportune garanzie di sicurezza, riaperture avventate possano rappresentare un danno irreparabile se dovesse ripartire il contagio».
Da qui l’avvio di una «campagna di monitoraggio all’interno di tutte le fabbriche per verificare la corretta attuazione delle pratiche previste dal protocollo per il contrasto della diffusione del virus». —
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