Inchiesta sui rimborsi: missione con la moglie in Liguria e Toscana
UDINE. C’era un preciso vincolo di destinazione, quello del funzionamento del gruppo, ma non sono mai state imposte nè pretese precise condizioni per l’uso dei soldi nè correlazioni. È una delle tesi sostenute dal pm della Procura di Trieste Federico Frezza nell’inchiesta sui rimborsi ai consiglieri regionali nel 2011.
Ieri davanti al pm sono scattati i primi interrogatori, ai capigruppo della Lega Danilo Narduzzi e del Pdl Daniele Galasso, mentre martedì toccherà a Gianfranco Moretton, ex capogruppo del Pd. Difesi dall’avvocato Luca Ponti – che assiste anche Moretton –, Narduzzi e Galasso sono stati dal pm un’ora e mezza ciascuno.
Al capogruppo del Pdl, oltre a una sorta di omessa vigilanza sui colleghi, vengono anche contestati due scontrini nel 2011, uno da circa 20 euro per l’acquisto di pesce, l’altro per un viaggio tra Liguria e Toscana, tre giorni con la moglie a ottobre, che Galasso (come riportiamo nell’articolo a destra) ha giustificato al pm come “trasferta” legata all’attività politica.
Spese peregrine
Vengono definite così dal pm nell’invito a comparire notificato ai capigruppo. Frezza parte dalla cifra assegnata per le spese a ciascun consigliere, 2.200 euro al mese, e contesta ai responsabili dei gruppi di aver accettato quali documenti giustificativi dei rimborsi una serie di scontrini, molti dei quali di entità ridottissima, inferiori a 5 euro.
Quello, secondo il sostituto, è l’elemento che “rendeva palese che non potevano avere alcuna funzione di spesa di rappresentanza, cioè – si legge nel capo d’imputazione – di spesa diretta ad accrescere all’esterno la notorietà e il prestigio del gruppo”. Non solo.
Il capogruppo è anche responsabile di aver accettato e rimborsato “ricevute prive di alcuna attestazione o indicazione esplicativa – è scritto nell’atto del pm – e afferenti quasi in tutto a spese di ristorazione e bar, gabellate per spese di rappresentanza nell’interesse del gruppo, pur se non vi era alcuna specifica menzione ad alcuna specifica attività, e pur se in alcuni casi era di solare evidenza che si era del tutto al di fuori da qualsivoglia attività di rappresentanza del gruppo”.
Frezza elenca quelle che per lui sono spese che nulla hanno a che fare con la rappresentanza. Gli esempi, citati nell’invito a comparire, sono le singole consumazioni al bar, gelati, spese di abbigliamento, tagliandi di parcheggio. E aggiunge il pm: “Senza elencare una per una le migliaia di spese, si evidenziano qui di seguito le spese che appaiono peregrine/estranee rispetto al vincolo di destinazione, salva spiegazione o giustificazione successiva, al momento del tutto carente, il che di per sè è irregolare dal punto di vista amministrativo”.
L’elenco è composto da molti dei rimborsi disinvolti già noti, dalle gomme per la neve alle trasferte a ferragosto, dagli acquisti in macellerie e pescheria alle consumazioni in discoteca, dalle scarpe ai casalinghi. Un elenco che – Frezza lo chiarisce subito – non è esaustivo e che potrà essere integrato dopo gli esiti in corso. L’inchiesta, insomma, non è chiusa.
La difesa
Ponti ha presentato due memorie difensive, come farà anche martedì per Moretton. Documenti nei quali il legale ripete che ai capigruppo non è assegnata alcuna funzione di controllo in merito alle spese sostenute dai colleghi.
«L’unica attività cui è chiamato il capogruppo – spiega Ponti – è quella di attestare che i documenti giustificativi delle spese sostenute siano conservati nella sede del gruppo. La possibilità di controllo è invece rimessa all’ufficio di presidenza del Consiglio».
E poi Ponti sostiene che ai capigruppo non compete alcuna possibilità di valutare e sindacare sulle spese altrui. «Alla luce dell’assenza di qualsivoglia previsione sulla previa o contestuale giustificazione delle spese – conclude Ponti – l’indagato non aveva la materiale né giuridica possibilità di negare il rimborso, non disponendo nemmeno di strumenti per poterlo fare».
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Messaggero Veneto