Inchiesta sullo stadio: appalto per i lavori e Rup, tutto archiviato

Il gip ha accolto la richiesta del pm. Nell’inchiesta erano coinvolti il presidente Soldati, il sindaco Honsell e il dirigente Padrini
Udine 17 Gennaio 2016. Calcio Serie A. Udinese-Juventus. © Foto Petrussi / Petrussi Diego
Udine 17 Gennaio 2016. Calcio Serie A. Udinese-Juventus. © Foto Petrussi / Petrussi Diego

UDINE. Ora l’andirivieni del fascicolo dalle stanze della Procura a quelle del tribunale, e viceversa, è veramente finito. Il presidente dell’Udinese calcio, Franco Soldati, l’allora Responsabile unico del procedimento per i lavori di ristrutturazione dello stadio, Marco Padrini, e il sindaco Furio Honsell non sono più sotto inchiesta.

Accogliendo la richiesta del procuratore aggiunto Raffaele Tito - la seconda, dopo quella respinta nel 2014 -, il gip Matteo Carlisi ha disposto l’archiviazione del procedimento che ipotizzava a carico dei primi due il concorso in turbativa d’asta e, del terzo, l’abuso d’ufficio.

L’ordinanza porta la data di ieri e chiude una vicenda cominciata nel giugno del 2013, con l’esposto presentato in Procura da Luigi Fantini, direttore del dipartimento Infrastrutture del Comune e, all’epoca, supervisore dell’opera.

Nel valutare la complessa vicenda, il giudice ha ripreso e condiviso sia considerazioni del collega Paolo Alessio Vernì, che nel settembre di due anni fa aveva rispedito gli atti in Procura, delegando nuovi accertamenti alla Guardia di finanza, sia del pm Tito e dei difensori, avvocati Andrea Franchin (per Soldati e Padrini) e Maurizio Conti (per Honsell). Tenendo peraltro in debito conto anche la delibera con cui, nel giugno 2015, l’Autorità nazionale anticorruzione si era a sua volta espressa sulle questioni di competenza.

Prima di esaminare la correttezza o meno delle modalità di aggiudicazione dell’appalto per il restyling dello stadio e dell’assegnazione a un dirigente del Comune dell’incarico di Rup, il gip si è soffermato sulla “cornice” contrattuale in cui i fatti sono avvenuti: il conferimento del diritto di superficie, con obbligo di ristrutturazione dell’impianto.

E cioè una procedura di aggiudicazione atipica che, per l’Anticorruzione, «non si è comunque rivelata irrispettosa del principio di concorrenza, essendo stata svolta una procedura a evidenza pubblica», rilevando piuttosto «altri vizi nella procedura, legati all’incompletezza del bando e alla mancanza dell’analisi di convenienza economica».

Da qui, per il giudice, l’esclusione dell’abuso d’ufficio a carico del sindaco «non essendovi prova che le irregolarità del bando si siano tradotte in un ingiusto vantaggio per l’Udinese», e l’esclusione anche della turbativa d’asta, «nonostante il sospetto che il contratto fosse stato pensato a uso e consumo dell’Udinese».

Quelli finiti sotto al lente della Finanza erano stati i lotti dal primo al terzo, relativi a rifacimento del campo, realizzazione degli spogliatoi e adozione delle dotazioni Uefa. Tutti affidati senza gara, a trattativa privata. Il punto più spinoso ruotava attorno all’inquadrabilità o meno dell’Udinese quale incaricata di pubblico servizio.

Sposando le conclusioni di Vernì, anche Carlisi ha ritenuto che la sua posizione fosse quella di concessionaria di lavori pubblici e, in quanto tale, soggetta all’articolo 142 del Codice degli appalti che impone la procedura di evidenza pubblica. Un fatto di cui, a suo parere, la stessa società aveva piena consapevolezza, visto che «gli appalti per i successivi lotti sono stati assegnati con gara europea» e che fu nominato un Rup, «ossia un organo di diritto pubblico».

Detto questo, «anche pro futuro, in quanto i dirigenti dell’Udinese dovranno essere consapevoli da qui ai prossimi 99 anni», il giudice ha tuttavia ritenuto di escludere l’abuso d’ufficio, «mancando la prova dell’ingiusto vantaggio patrimoniale o dell’ingiusto danno». L’intento «non era tanto quello di favorire le imprese appaltatrici – scrive –, quanto quello di concludere i lavori entro l’estate». In completa «buona fede», insomma.

Infine, la connessa questione della nomina di Padrini. Ossia dell’«evidente conflitto di interessi di colui che, dopo avere predisposto la gara d’appalto per la stazione appaltante e che avrebbe dovuto vigilare sulla sua corretta esecuzione, assunse poi la qualifica di Rup per la società concessionaria». Anche in questo caso non vi fu dolo intenzionale. La «designazione» di Padrini avvenne su richiesta della stessa Udinese, divenuta “stazione appaltante”, ma priva al proprio interno della professionalità necessaria.

«È evidente – è la conclusione del gip – che l’intenzione del sindaco e della società fosse di realizzare lo stadio in modo celere e, tutt’al più, di “favorire” l’Udinese nella realizzazione dell’opera e non già di consentire a Padrini di conseguire un “ingiusto vantaggio patrimoniale” o di “danneggiare ingiustamente”, con il suo temporaneo allontanamento dal Comune, la macchina comunale. La scelta cadde su Padrini in maniera del tutto casuale». E a guidarla fu, ancora una volta, «l’interesse pubblico predominante di “dare alla città un nuovo stadio”».

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