Incompatibilità negata: il caso Marsilio finisce in Procura
UDINE. E’ partito dagli uffici regionali di piazza Oberdan a Trieste. Destinatario, Procura della Repubblica. Il plico di carte sul caso dell’incompatibilità di Enzo Marsilio, nel doppio ruolo di consigliere regionale del Pd e presidente di una cooperativa che in Carnia gestisce l’Albero diffuso, finisce sotto la lente della magistratura. La segnalazione è stata inviata dagli uffici competenti e rappresenta un atto dovuto da parte della struttura regionale che, in mancanza dell’autocertificazione di Marsilio, non avrebbe potuto accertarne la compatibilità a sedere nell’assemblea regionale.
L’esponente dem non aveva, infatti, dichiarato di essere presidente della Borgo Soandri Alberghi diffusi, destinataria di cospicui contributi regionali di cui lui stesso è stato firmatario. Scoppiato il caso, Marsilio si è subito dimesso dalla coop, e si è difeso nel corso di una conferenza stampa assicurando l’assoluta «buona fede» alla base dell’omissione, causata dalla semplice «ignoranza della norma» che detta la determinazione dei casi di ineleggibilità e di incompatibilità».
Ma la legge parla chiaro e gli uffici regionali hanno provveduto a segnalare l’accaduto. Spetterà alla procura verificare se sussistano o meno ipotesi di reato nella mancata certificazione che ha permesso al democratico di ricoprire contemporaneamente i due incarichi. Una condizione che vede coinvolto anche l’altro consigliere piddino, Enio Agnola, che nel 2013 si era dimesso da presidente della coop gestore di un altro Albergo diffuso, salvo poi continuare ad esercitare lo stesso ruolo perché, si è giustificato, «non c’era nessuno disponibile a sostituirmi». Stando a indiscrezioni entrambi i casi sarebbero all’attenzione anche della Corte dei conti.
Se il Pd fa quadrato intorno ai suoi due consiglieri, la polemica è ormai incendiata. L’opposizione chiama in causa la questione morale di un partito che «predica bene agli altri e razzola male con i suoi». Il capogruppo di Forza Italia, Riccardo Riccardi, torna sui «due pesi e due misure» della presidente Serracchiani e avverte che questa volta, non molla: «Si è pentita di aver candidato alcuni esponenti? Agisca, li cacci, chieda le loro dimissioni dal consiglio».
L’azzurro precisa di non aver «nulla contro i due», e che «il codice penale è materia della magistratura», ma evidenzia che l’affaire è soprattutto politico». Dopo aver depositato una mozione trasparenza con cui ha chiesto di pubblicare sul sito della Regione nomi, cognomi, incarichi e compensi di consiglieri, assessori e presidente fino ai tre anni precedenti il mandato, l’azzurro annuncia una proposta di legge sul conflitto di interessi.
Non quello illegittimo. Il forzista punta ad andare oltre «i conflitti tradizionali previsti dalla legge» per intervenire nella sfera di quelli «ammessi legge». E scardinare un sistema che vede «esponenti del consiglio regionale svolgere attività professionali contigue all’attività politica. E proprio la politica ha l’obbligo di affrontare le questioni scomode».
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