"Io, alpino quasi per caso"

PORDENONE. Da un decennio percorre in lungo e in largo Albania e Grecia per onorare la memoria degli italiani caduti al fronte. È stato il primo a issare il vessillo sulla cima del monte Golico, dove perse la vita il tenente Antonio Marchi, cui è intitolata la sezione Ana di Pordenone. Ilario Merlin, classe 1970, diplomato perito meccanico a Portogruaro, ha raggiunto ieri, con la comitiva di Morsano al Tagliamento, cui è capogruppo, e di Sesto al Reghena, L’Aquila. L’arrivo in serata, dopo un passaggio sul Gran Sasso. È tra i congedati più giovani della sezione nonché tra i più attivi.
Accolta la domanda per allievo ufficiale di complemento, grande è la delusione quando è il momento di partire per la leva, destinato, nel luglio 1990, alla Scuola del genio, a Roma. «Avrei preferito Aosta». Dopo quindici giorni di naia, incrocia un uomo col cappello alpino in piazza D’Armi: «Perché lei è qui?», domanda. «Stava cercando 18 volontari dell’Arma del Genio per fare servizio di prima nomina nelle truppe alpine, come guastatori alpini. Mi si spalancò un mondo. La mia permanenza nella scuola, da quel momento, fu certamente più felice».
La penna nera «è “d’ordinanza” in alcuni paesi, come il nostro. Quasi tutti i miei coetanei erano stati arruolati negli alpini, potete immaginare cosa voleva dire essere destinati in altri reparti», ha detto.
Cinque mesi dopo, concluso il corso col grado di sottotenente, Ilario Merlin è destinato dapprima a Gemona, poi a Bolzano: «Sono stati dieci mesi bellissimi. Non solo mi sono “divertito”, ma ho imparato molte cose dal punto di vista umano e militare. La leva nella vita è come un giro di boa: arrivi dalla spensieratezza e torni con la responsabilità per la vita. Avevo vent’anni, comandavo una Compagnia di ottanta alpini che imbracciavano armi vere: vi immaginate se quelle stesse armi fossero messe nelle mani della gioventù d’oggi?».
Ilario Merlin ha partecipato alla prima adunata nazionale, nel 1991 a Vicenza, da militare di naia. La prima da congedato l’anno successivo, a Milano, dove conosce il generale in congedo Gioacchino Dell’Isola, «che mi ha insegnato che cosa vuol dire essere alpino nella vita di tutti i giorni: impegno, volontariato, altruismo, serietà».
Dal 2004 è capogruppo di Morsano al Tagliamento, intitolato al caporale Giobatta Schincariol, «morto il 28 ottobre 1940 al cippo 6, confine greco-albanese». I “suoi” operano in collaborazione con diverse associazioni, ogni anno donano un contributo ai due asili del paese, quello comunale e quello parrocchiale, preparano l’albero di Natale alla casa Daniele Moro, le castagnate al centro anziani. «Questa è la vita alpina di tutti i giorni, tra qualche rinuncia e qualche sacrificio. Gli alpini non sono i migliori uomini al mondo, ma il cameratismo, le lunghe marce, la disciplina sono metodi che ci hanno insegnato ad affrontare i problemi della vita, anche quelli più difficili».
Ogni anno Ilario Merlin vive in una maniera tutta sua la memoria dei caduti, approfittando delle ferie estive. «Percorro Albania e Grecia con amici, dieci giorni per commemorare i morti al fronte. Siamo stati i primi a portare il vessillo sezionale sul Monte Golico, 1.615 metri sul livello del mare, dove morì il tenente Marchi».
Con la sua comitiva viaggia Simone Marchesan, 36 anni, di Brugnera, sesto scaglione ’99 a Venzone. «Da quell’anno ne ho saltate solo due». Fa parte del “primo plotone storico”, composto da quaranta alpini che sfilano con le divise d’epoca in Friuli Venezia Giulia. È uno degli “animatori” della comitiva, che soggiorna al Centro sportivo universitario, a pochi passi dal percorso della sfilata: «L’adunata – racconta – non è solo un momento goliardico, come molti, sbagliando, pensano. È il luogo dove ci incontriamo, soprattutto gli appartenenti allo stesso scaglione di leva. Si parla di quello che avevamo fatto allora, di cosa facciamo oggi. L’adunata – conclude – è il luogo ideale per allacciare amicizie, che poi durano tutta la vita».
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