Irma uccisa con trentasette coltellate
SAN GIOVANNI AL NATISONE. Trentasei, forse trentasette coltellate, di cui più di una ha colpito organi vitali. È così che è morta Irma Hadaj, la donna albanese di 32 anni uccisa dal marito la notte di martedì nella sua casetta a due piani ai civico 79 di via Palmarina davanti agli sguardi atterriti delle sue due figlie.
L’autopsia. L’esito dell’esame compiuto dal medico legale Carlo Moreschi è arrivato nella tarda mattinata di ieri. Le ferite inferte al suo corpo martoriato, da sole bastano a descrivere la violenza inaudita dell’attacco di cui è stata vittima: 36 o 37 coltellate, diverse quelle risultate mortali, dopo aver colpito la giugulare, i polmoni e il cuore.
L’interrogatorio. Sempre nella tarda mattinata di ieri nel carcere di Udine, dove il 36enne albanese Lulzim Hadaj si trova da martedì notte dopo essersi autoaccusato per l’omicidio della moglie, si è svolto l’interrogatorio di garanzia dinanzi al giudice per le indagini preliminari Francesco Florit. Un incontro che si è protratto per una ventina di minuti. Hadaj nei confronti del quale l’accusa formulata dal pm Barbara Loffredo è di omicidio volontario aggravato dal rapporto coniugale, ha risposto alle domande che gli venivano poste, confermando le sue dichiarazioni.
La provocazione. Sarebbe stata la moglie a provocare l’uomo, lei avrebbe preso il coltello minacciandolo, secondo il racconto fornito da Hadaj, e lui avrebbe reagito con rabbia, prima strappandole quel coltello e procurandosi una ferita alla mano sinistra e al braccio, poi avrebbe cominciato a colpire. È dalla prima coltellata che la memoria di Hadaj sbiadisce: non ricorda di aver colpito così a lungo e così brutalmente e di aver visto le bambine accanto, nè di aver sentito le grida.
La cugina. I rapporti fra i due coniugi erano tutt’altro che facili, le tensioni legate a problemi di divergenze caratteriali e alla gestione della famiglia da tempo erano motivo di conflittualità. Martedì però a scatenare la lite sarebbe stata la visita a una cugina in ospedale. Lulzim Hadaj martedì è andato con le due bambine in ospedale a trovare una cugina che era diventata mamma. Una visita in merito alla quale la moglie aveva mosso delle critiche dalle quali è partita la lite mentre i due erano a tavola alle prese con alcune fette di anguria e una serie di coltelli, gli stessi trovati insanguinati a terra.
La convalida. Il giudice Francesco Florit ha ritenuto che per Hadaj dopo l’omicidio sussistesse il pericolo di fuga e per questo, dopo aver convalidato l’arresto, ha confermato la custodia in carcere. E proprio sul fatto che non esistessero motivi per la custodia in carcere si era speso l’avvocato Bruno Dal Ben, che aveva sottolineato come non vi fosse rischio di reiterazione del reato, nè di inquinamento probatorio, visto che la casa è stata posta sotto sequestro ed è stato lo stesso Hadaj dopo il delitto a chiamare i carabinieri e a confessare senza reticenze, raccontando ogni particolare anche quelli che potevano aggravare la sua posizione.
Pericolo di fuga. Mai, secondo la difesa Hadaj avrebbe potuto pensare a fuggire, in primo luogo perché autodenunciandosi aveva dimostrato fin dall’inizio di voler pagare per quanto aveva fatto, ma soprattutto per il suo forte attaccamento alle figlie. «Sono la sua stessa vita» ha sottolineato il legale di fiducia di Hadaj. Ed è proprio l’orrore di sapere che quelle bimbe, che hanno appena 8 e 5 anni, hanno visto la loro madre morire sotto quei colpi che hanno fatto precipitare l’uomo in un profondo stato di prostrazione.
Il Riesame. «Stiamo valutando la possibilità di presentare istanza al Riesame per chiedere una misura cautelare meno afflittiva» anticipa l’avvocato Dal Ben. In Friuli Lulzim Hadaj ha alcuni parenti. Tutti, non solo parenti ma anche conoscenti e compaesani sottolinea lo stesso avvocato Dal Ben, confermano come Hadaj sia sempre sembrato a tutti una persona non pericolosa, un lavoratore che si occupava della propria famiglia e che anche in questi mesi in cui era rimasto senza lavoro, non fosse tipo da starsene con le mani in mano, ma si dimostrasse persona seria e responsabile.
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