Italia qui ‘Julia’... FOTO
La Julia è in Afghanistan. La presenza, le attività, la vita quotidiana dei nostri militari sono raccontate con testi e foto prodotti direttamente dagli uomini della brigata alpina, in questa rubrica («Italia, qui Julia...») che sarà aggiornata settimanalmente. Questa volta è il sergente maggiore Andrea Dreassi dell’8° reggimento alpini a scrivere.
Quello che segue è il racconto di come la compagnia ‘Alfa’ della Transition Support Unit South, ovvero la 12ª compagnia dell’8° reggimento alpini, ha preparato e condotto una pattuglia per il controllo del territorio assieme alle forze di sicurezza afghane.
Prima riunione di coordinamento
Viene assegnato l’obiettivo: supportare le forze di sicurezza afghane durante il pattugliamento della ‘route 517’, l’itinerario che collega la FOB ‘Dimonios’ di Farah con la FOB ‘Tobruk’ di Bala Boluk.
Si inizia a lavorare alla pianificazione dell’attività da svolgere. Sono molti gli aspetti da tenere bene a mente: bisogna individuare itinerari alternativi che possono essere anche più lunghi di quello principale e, contestualmente, calcolare quanto carburante servirà per svolgere il compito assegnato. Bisogna verificare il funzionamento delle radio, unico sistema per comunicare in operazione. Bisogna verificare quanti e quali assetti specialistici di supporto possano essere necessari: tiratori scelti, elicotteri d’appoggio, e team JTAC (Joint Tactical Air Control, ovvero personale specializzato che, in caso di necessità, individua gli obiettivi sul terreno e vi dirige il fuoco del supporto aereo).
Per far sì che tutte queste componenti interagiscano correttamente tra loro è necessario il coordinamento cioè che durante l’operazione si parli ‘la stessa lingua’ e che tutti i partecipanti all’attività sappiano esattamente cosa fare in caso di pericolo.
Si procede quindi con il briefing pre-missione nella cosiddetta tenda ‘Penna Nera’: siamo alpini e non potevamo chiamarla in altro modo! Si studiano tutte le fasi dell’attività, si approfondiscono alcuni aspetti dell’operazione e si chiariscono eventuali dubbi. Ora siamo pronti.
Dopo aver controllato e preparato tutto il materiale da portare al seguito si cena e si va a dormire: domani la giornata inizierà presto e bisogna essere ben riposati.
Inizia l’operazione
Ore 6:30: i mezzi vengono incolonnati. Le mitragliatrici vengono montate sulle ralle, i giubbetti antiproiettile vengono indossati. I conduttori degli automezzi ‘Lince’ verificano che a bordo tutto sia come deve essere. Tutto pronto!
Ultimo briefing pre missione. Breve riassunto del compito assegnato e dei piani di contingenza, ovvero cosa fare in situazioni di emergenza. Le procedure sono ormai scontate, imparate a memoria ma vanno comunque ricordate a tutti. Nessuna domanda? Tutti a bordo!
Ore 07:30: abbiamo appuntamento con la pattuglia dell’esercito afghano cui forniremo supporto in questa operazione. Uscendo dalla base un soldato ci saluta come per augurarci un ‘in bocca al lupo’. Subito dopo incontriamo i colleghi afghani. Il capitano scende dal proprio ‘Lince’ con l’interprete per definire gli ultimi dettagli. Il loro comandante ha un’aria sicura e determinata. Se penso a 2 anni fa, quando eravamo a Bala Murghab, mi sembra impossibile che i militari afghani siano migliorati così tanto: in molti distretti della nostra area di responsabilità sono già autonomi. Oggi siamo qui solo per fornirgli eventuale supporto, ma l’operazione vede loro come principali attori.
Via, la colonna si muove. Si procede a una velocità moderata lungo l’itinerario da pattugliare.
Usciamo dal centro di Farah. La strada è sempre asfaltata e le case stanno diminuendo. Arriviamo in prossimità` di un ‘culvert’ (canale di scolo interrato sotto la strada), un punto potenzialmente pericoloso. Imperativo: si deve scendere dai mezzi e controllare, potrebbe esserci un IED (un ordigno esplosivo improvvisato). L’operazione può durare minuti o anche ore … dipende da tanti fattori. Tutto ok, si riparte e dopo pochi minuti arriviamo al villaggio di Kanesk: i bambini salutano, i nostri ‘rallisti’ (i mitraglieri degli automezzi) rispondono. Qualche bambino esce di corsa da casa per raggiungerci aspettandosi magari qualche dono, un pezzo di cioccolata o altro. Vorremo dargli qualcosa, ma sarebbe pericoloso. I bambini si getterebbero verso i nostri mezzi e sarebbe difficile evitarli.
Continuiamo il nostro viaggio. In lontananza si sente il rumore di un elicottero. Sono i ‘Mangusta’ del 5° reggimento ‘Rigel’ di Casarsa della Delizia, i nostri angeli custodi che ci proteggono dall’alto. Gli insurgents sanno bene che attaccarci è molto difficile, a maggior ragione quando siamo scortati dall’alto. Ma l’attenzione non può calare, il pericolo IED è sempre in agguato.
Siamo a tre quarti del percorso del viaggio di andata. Sono passate quasi 3 ore e sta procedendo tutto per il verso giusto. Sono seduto dietro e alla mia sinistra c’è il ‘rallista’ in piedi che, beato lui, almeno prende un po’ di aria ‘fresca’. Ma quello è il posto più pericoloso, il più esposto a eventuali attacchi.
Arriviamo a destinazione: fortunatamente non c’è nulla di strano, di sospetto. Solo un’immensa area deserta intorno a noi! Uno alla volta tutti i mezzi fanno inversione. Mentre uno sterza l’altro lo copre prendendosi cura del suo settore di tiro.
Rientrando, dopo circa 3 ore, incontriamo gli stessi bambini dell’andata: il percorso è lo stesso ma l’attenzione deve rimanere alta. Agli insurgents bastano solo pochi minuti per piazzare un ordigno lungo l’itinerario che stiamo percorrendo.
Il rientro ‘a casa’
Dopo oltre 7 ore siamo nuovamente a Farah, i mezzi rallentano, stiamo entrando nuovamente nella nostra base, la FOB ‘Dimonios’. Una volta dentro, possiamo toglierci l’elmetto, slacciare le cinture, spezzare la tensione che ci ha accompagnato durante tutta l’attività. Ma non e` finita. Bisogna riordinare tutti i materiali, fare il pieno carburante ai ‘Lince’, controllare nuovamente le radio, smontare le armi e pulirle. Ancora un’ora di lavoro e poi finalmente … doccia e un po’ di meritato relax.
Domani un’altra attività ci attende, altre difficoltà, altra tensione emotiva. Qualcuno potrebbe magari chiederci “ma chi ve lo fa fare”? Certe volte è difficile rispondere. Poi, ripensando a tutto ciò che vediamo ogni giorno, la risposta non può che essere una sola: lo facciamo anche per quei bambini che incontriamo tutti i giorni, perché un domani possano vivere in un ambiente più sicuro di quello in cui vivono oggi.
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