Italia qui ‘Julia’... FOTO

Storie di confine: in pattuglia fino alla frontiera con il Turkmenistan

La Julia è in Afghanistan. La presenza, le attività, la vita quotidiana dei nostri militari sono raccontate con testi e foto prodotti direttamente dagli uomini della brigata alpina o della missione italiana, in questa rubrica («Italia, qui Julia...») che sarà aggiornata settimanalmente.

A scrivere stavolta è il tenente Daniele Trentini ufficiale 7° reggimento alpini.

La storia che mi accingo a raccontare si riferisce a una delle molteplici attività che, assieme alla mia unità, ho svolto qui in Afghanistan dall’inizio del mio mandato. La storia di un pattugliamento che ci ha portato fino all’estremo nord dell’area di responsabilità assegnata al contingente italiano di stanza nella regione ovest del ‘Paese degli aquiloni’.

Tutto è iniziato a febbraio, dopo un lungo e intenso periodo di addestramento e amalgama durato sei mesi al termine dei quali sono partito, per la mia seconda volta, per l’Afghanistan, destinazione Shindand con l’incarico di vice comandante di compagnia.

Ormai sono diversi mesi che ricopro questo ruolo e sono riuscito a conoscere e a farmi conoscere dal personale alle mie dipendenze: uomini e donne che, nel corso degli anni, hanno acquisito una notevole esperienza professionale. La prova di questa efficienza la verifico giorno dopo giorno, attività dopo attività.

L’Afghanistan sta vivendo un momento molto delicato, chiamato ‘Transition’: transizione di responsabilità della sicurezza dalle forze della coalizione ISAF a quelle del Governo Afghano. Una fase in cui le Afghan National Security Forces (ANSF – le forze di sicurezza afghane), da diversi mesi, sono quasi del tutto in grado di operare da soli.

In questo contesto, uno dei nostri compiti è quello di continuare a supportare i colleghi afghani e fornire loro assistenza. L’operazione ‘Good Shepherd’ svolta di recente rientrava proprio in questo ambito: un’attività di pattugliamento ‘a lungo raggio’ fino al confine con il Turkmenistan, lungo l’arteria stradale denominata ‘Highway 8’ che mette in comunicazione la provincia di Herat con l’ex repubblica sovietica.

Dopo una complessa attività di pianificazione, seguita da un briefing cui ha partecipato tutto il personale interessato, tutto è pronto per la partenza.

La sveglia del primo giorno è con le prime luci dell’alba, destinazione Herat. L’idea sarebbe quella di partire con il fresco, ma a queste latitudini la mattina presto ci sono già circa 30 °C!

Da qualche settimana è iniziata la stagione del vento, che durerà per circa 120 giorni: la sabbia che mi arriva in volto è parzialmente fermata dalla barba che mi sono fatto crescere in questi mesi. Per gli Afghani è segno di rispetto e di saggezza, utile durante le ‘shure’, gli incontri con i capi villaggio.

Appena arrivati ad Herat ci incontriamo con gli ufficiali del 6° battaglione della 1° brigata dell’Afghan National Army (ANA, l’esercito afghano). Uomini con barbe lunghe, alcune bianche, con il viso consumato dal sole ma sempre pronti a salutare con una vigorosa stretta di mano che subito dopo portano al petto in segno di rispetto.

L’operazione sarà condotta congiuntamente proprio con loro: come detto in precedenza, la quasi totalità delle operazioni è in supporto alle forze di sicurezza afghane che, ormai, sono ben capaci nel pianificare e condurre missioni di questa tipologia.

Il secondo giorno di pattuglia comincia con un’altra alba: si parte insieme ai colleghi dell’ANA verso la destinazione finale, il posto di frontiera di Towraghondi. Dovremo percorrere una vasta area di territorio, attraversando i distretti di Injil e Kushkuk. Dopo circa 110 chilometri, arriviamo al confine con il Turkmenistan: ci accoglie un ufficiale della Afghan Border Police (ABP – la polizia di frontiera afghana), il Tenente Afizollah. È sorpreso, quasi infastidito della nostra improvvisata: per noi è un segno positivo, inizia ad esser geloso del proprio lavoro e ci tiene a far bella figura con le forze di coalizione.

Tra gli sguardi incuriositi dei soldati turkmeni che sbirciano dalla sottile rete metallica che fa da confine, il tenente Afizollah ci fornisce un aggiornamento di situazione. Il posto di frontiera è completamente nuovo e ben attrezzato, i sistemi passivi di sicurezza sono nuovi e ben tenuti. Vi sono due enormi cartelli: “Welcome to Afghanistan” per chi entra e “God Bless You” per chi lascia il ‘Paese degli aquiloni’. Accanto all’infrastruttura c’è una linea ferroviaria appena rinnovata: “La utilizzavano i Russi per portare le merci prima dell’invasione e le stoccavano laggiù, dietro le loro caserme abitative in quei capannoni” ci dice uno dei sottufficiali che ci fa da guida.

Seguendo le sottili linee delle colline a ovest, oltre il filo spinato, noto che il fiume ‘Rud-e Towraghondi’ si presta come confine naturale tra noi e il Turkmenistan ove, ad ogni chilometro, è presente una torretta d’avvistamento. Il personale dell’ABP ci rassicura dicendo che i rapporti sono più che civili e amichevoli con i colleghi d’oltre confine.

L’attività volge al termine, dobbiamo fare rientro a Herat. Un ultimo sguardo verso la cittadina di Towraghondi, una località estremamente trafficata e piena di vita, come del resto ogni città di frontiera. Una cittadina ricca, ben tenuta dove il progresso sembra essere già alle porte, anche se non riesce a scalfire del tutto le tradizioni secolari. Donne con il ‘Burqa’ rincorrono i propri piccoli che ci salutano e ci accompagnano fino all’uscita del paese. La compagnia genio dell’ANA ci apre la strada fino ad Herat e, successivamente, proseguiamo rapidamente fino a Shindand, scortati da un drone (aereo senza pilota) che dall’alto veglia su di noi.

Tre giorni molto intensi, un viaggio tra presente e passato in un’area dalla storia tormentata che oggi inizia a sperare veramente in un futuro migliore. Un territorio dove, accanto ai resti di vecchie caserme sovietiche abbandonate a testimonianza di un periodo buio e pieno di sofferenze, sorgono nuove strutture e istituzioni.

Riproduzione riservata © Messaggero Veneto