Italia qui ‘Julia’... FOTO

Soldati “a quattro zampe”: i cani anti-esplosivo

La Julia è in Afghanistan. La presenza, le attività, la vita quotidiana dei nostri militari sono raccontate con testi e foto prodotti direttamente dagli uomini della brigata alpina, in questa rubrica («Italia, qui Julia...») che sarà aggiornata settimanalmente. Questa volta è il capitano Paolo Crociani della brigata alpina Julia a scrivere.

All’interno del Regional Command West, di cui gli alpini della ‘Julia’ forniscono l’asse portante, non ci sono solo alpini.

Sono rappresentate un po’ tutte le armi e le specialità dell’esercito italiano nonché le altre forze armate italiane: aeronautica, carabinieri e marina sono anch’esse presenti.

E oltre agli italiani ci sono molti stranieri: albanesi, georgiani, lituani, salvadoregni, sloveni, spagnoli, statunitensi, ucraini e ungheresi. Ci troviamo in un comando multinazionale e l’eterogeneità della sua composizione rappresenta uno dei suoi principali punti di forza.

Ma a guardar bene, nel comando dislocato nella regione ovest dell’Afghanistan è presente anche un’altra componente, altrettanto fondamentale per il successo della missione e per la sicurezza delle truppe che operano sul terreno: i cosiddetti cani ‘anti esplosivo’.

Si tratta di ‘soldati a quattro zampe’ che operano quotidianamente con gli assetti del genio incaricati di combattere il nemico più ostile, più subdolo e più difficile da prevedere: gli ordigni esplosivi improvvisati (IED).

Questi soldati ‘atipici’, svolgono assieme ai loro ‘conducenti’ giorno dopo giorno un compito estremamente delicato. In gergo vengono chiamati ‘explosive detection dog’ (in grado di ricercare e segnalare sostanze esplosive non interrate) e ‘mine detection dog’ (in grado di ricercare e segnalare la presenza di mine, trappole esplosive ed altri ordigni esplosivi interrati).

Grazie al loro diuturno impiego, nel corso degli anni il numero di ordigni ritrovati è aumentato costantemente, abbassando di conseguenza il rischio di incidenti per le truppe che operano sul terreno nonché per la popolazione civile, che troppo spesso è la vittima innocente di questo subdolo nemico.

La preparazione che questi cani svolgono per acquisire la loro preziosissima capacità consiste in un difficile addestramento della durata di circa un anno ed è incrementata con l’esperienza che, successivamente, acquisiscono sul terreno.

Dietro ogni cane c’è un lavoro intenso e meticoloso ove nulla è lasciato al caso.

Il ‘conducente’, ovvero il militare che addestra e impiega il cane, gioca anch’esso un ruolo fondamentale: tra i due deve esserci affiatamento e intesa, altrimenti la sicurezza di un’operazione può essere facilmente compromessa.

Il sergente Fabrizio Mezzo, effettivo al centro militare veterinario di Grosseto, opera con Sammy, un esemplare maschio di pastore tedesco di 4 anni.

Tra i due, si vede subito, c’è un affiatamento simile a quello di due tennisti che giocano in doppio: l’uno non perde mai di vista l’altro.

«Sammy vive a casa con me dal 2010 e proprio per questo, oltre a essere un compagno di lavoro, fa parte integrante della mia famiglia. Viviamo ogni momento della giornata assieme, ed è stato presente in tutti i momenti più importanti della mia vita, dalla nascita della mia prima figlia, alle esperienze affrontate qui in Afghanistan».

Da Grosseto provengono anche il sergente Pietro Bonaventura e Scan, un esemplare maschio di pastore belga malinois di 8 anni; i due lavorano assieme dal 2006, quattro missioni all’estero alle spalle di cui due proprio qui in Afghanistan.

«Tra me e Scan si è creato un rapporto di empatia difficile da spiegare. L’uno è parte integrante della vita dell’altro. In 7 anni ne abbiamo viste tante insieme: dal corso di addestramento all’attuale missione, tante esperienze che hanno cementato il nostro rapporto».

«Ricordo in particolare -prosegue - un episodio, che la dice lunga sul nostro affiatamento: un giorno mentre ci stavamo dirigendo presso l’ingresso principale della base dove eravamo impiegati, un gruppo di 8/10 cani randagi ci ha visto e ha cominciato a correre verso di noi».

«Non avendo possibilità di riparo, ho ordinato - prosegue - a Scan di restare fermo ‘seduto sul posto’ e ho cominciato io a correre verso il branco che ci stava per attaccare e... sorpresa: il branco, intimidito dal mio atteggiamento ha arrestato la propria corsa e di è disperso. A quel punto Scan mi corso incontro, saltandomi addosso per leccarmi: era il suo modo per ringraziarmi per lo scampato pericolo!».

Legami particolari, difficili da raccontare, ma che contribuiscono a garantire la nostra quotidiana sicurezza.

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