La banda delle banche a giudizio

Pordenone, vano il tentativo di spostare il processo al Sud. Tre campani accusati di riciclaggio in Friuli e Veneto

PORDENONE. Presunto riciclaggio di assegni rubati: in tre a processo con rito abbreviato che, in caso di condanna, prevede lo sconto di un terzo della pena. Lo ha deciso ieri il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Pordenone Piera Binotto, su richiesta dei difensori dei fratelli Michele e Francesco Caterino, 25 e 24 anni, rispettivamente muratore e parrucchiere, e di Eugenio Buompane, trent’anni, imprenditore edile e ritenuto il capo, tutti residenti a Casal di Principe.

Il gip ha respinto le eccezioni dei difensori sulla competenza territoriale del procedimento e sull’ipotesi di reato di associazione per delinquere.

Sono 27 i capi di imputazione formulati dal pubblico ministero, il procuratore Marco Martani. I tre sono accusati di avere formato un sodalizio dedito al riciclaggio di assegni circolari falsificati emessi non solo da istituti bancari per conto di compagnie assicurative, ma anche per conto dell’Inps, e alla loro successiva negoziazione mediante l’utilizzo di documenti di identità falsificati. Nelle sole province di Pordenone, Treviso e Udine erano stati individuati e sequestrati titoli per un milione e mezzo di euro.

L’inchiesta dei carabinieri di Pordenone era stata avviata nel maggio 2012 quando, per la prima volta, uno dei tre complici si era presentato in una banca cittadina per eseguire un prelievo di 6 mila euro in contanti dal conto corrente che aveva aperto qualche giorno prima.

I tre, secondo l’accusa, riuscivano ad intercettare gli assegni che Inps, Inail ed istituti di credito e assicurativi inviavano via posta a domicilio per rimborsi e pensioni. Li sbiancavano con una stampante, reimprimendo il numero di serie e l’importo corretto, apponendovi la loro (falsa) identità, anziché quella del vero destinatario. Aprivano un conto corrente, depositando dai 50 ai 100 euro, nelle banche delle province di Pordenone, Udine e Treviso e si facevano consegnare il bancomat.

Dalla Campania un complice controllava che i conti non fossero stati bloccati (e quindi ne fosse stata scoperta la falsità) e dava il via libera ai tre che entravano in banca, cambiavano gli assegni e solo in parte incassavano liquidi per non destare sospetto, tornando successivamente in Meridione con un furgone per eludere eventuali controlli.

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