La Cassazione su Bearzi: ecco perché è colpevole

Condanna a 4 anni di reclusione: fu «insensibile e imprudente»

UDINE. «Sono rimasti inerti di fronte alla gravità dello sciame sismico che colpiva L’Aquila già da mesi, e che era particolarmente insistente la notte del crollo del Convitto nazionale, mentre i due imputati, entrambi con posizione di garanzia, avrebbero dovuto dichiarare da tempo l’inagibilità della scuola, la cui instabilità era nota. O, almeno quella notte, organizzare l’evacuazione degli studenti».

Secca, inequivocabile, definitiva: la parola dei giudici della Corte di Cassazione non lascia margini di dubbio rispetto alla responsabilità penale di Livio Bearzi, il dirigente scolastico di 58 anni, di Udine, condannato a 4 anni di reclusione e all’interdizione dai pubblici uffici per 5 anni, per omicidio colposo plurimo e lesioni personali, in relazione alla morte di tre studenti e al ferimento di altri due nel crollo del Convitto nazionale “Domenico Cotugno” dell’Aquila, di cui era il preside, a seguito del terremoto del 6 aprile 2009.

Eppure, contro quella sentenza, di cui in questi giorni sono state depositate le motivazioni, si è sollevato un polverone. Dallo scorso 10 novembre, e cioè dal momento in cui Bearzi era stato accompagnato in carcere in esecuzone della sentenza di condanna passata in giudicato, mezza Italia si è mobilitata in suo favore.

Una raccolta di firme promossa dal personale del terzo istituto comprensivo udinese, che Bearzi dirigeva quest’anno, e sostenuta in breve da centinaia di altre persone e dall’Associazione nazionale presidi, punta a chiedere la grazia al presidente della Repubblica.

E intanto, in Parlamento, senatori e deputati di entrambi gli schieramenti hanno messo in moto i tecnici del ministero dell’Istruzione, affinchè si valuti la possibilità di limitare la responsabilità dei presidi sulla sicurezza delle scuole ai soli locali che utilizzano per l’attività didattica.

La notizia del deposito delle motivazioni degli “ermellini” ha raggiunto Bearzi a casa, a Cividale del Friuli. Accogliendo la richiesta di affidamento in prova ai servizi sociali presentata dall’avvocato Stefano Buonocore, infatti, il magistrato di sorveglianza di Udine ha reso possibile la scarcerazione del dirigente. Era la Vigilia di Natale: dopo 44 interminabili giorni in cella, trascorsi leggendo la Bibbia in friulano e Kapuscinski, il dirigente aveva potuto finalmente riabbracciare la propria famiglia.

Insieme al preside friulano, il tribunale prima e l’Appello e la Cassazione poi, hanno riconosciuto colpevole anche Vincenzo Mazzotta, 48 anni, aquilano e allora dirigente provinciale responsabile dell’edilizia scolastica. Per lui, la condanna è stata confermata in due anni e mezzo di reclusione.

«La situazione di allarme – scrivono i giudici di Cassazione – era talmente conclamata che il sindaco aveva disposto la chiusura di tutte le scuole del centro storico». Se Mazzotta avesse fatto la valutazione di pericolosità, «non sarebbe mancata un’analoga ordinanza di inagibilità che avrebbe salvato tutti». Quanto a Bearzi, la Suprema Corte sottolinea come l’indagine sia «tranciante». «Per costui – si legge – il piano di sicurezza prevedeva il potere dovere di disporre l’evacuazione in caso di necessità». D’altra parte, prosegue la Cassazione, «in quella notte fatale si era in presenza di indicazioni drammatiche che imponevano di corrispondere con immediatezza alle richieste dei giovani allievi e particolarmente di quelli minori».

Condividendo il giudizio già espresso dai colleghi dell’Appello, gli “ermellini” hanno ritenuto di leggere nel comportamento del dirigente «una conclamata insensibilità, una grave negligenza e imprudenza, imponendo ai ragazzi di sopportare un rischio elevato che si concretizzò nel volgere di poche ore». L’ex preside si era difeso sostenendo di non essere al corrente del rischio imminente.

«La situazione era da tempo pericolosa, e gli era stata segnalata dal suo responsabile della sicurezza e prevenzione», dicono i giudici. «Essa, in ogni caso – continua la Cassazione – aveva assunto tale drammatica evidenza, in quella notte, che veniva travolto qualunque parere fosse stato espresso in epoca anteriore a proposito della verifica di un sisma di rilevante portata». Insomma, di fonte a una situazione oramai precipitata, sono carta straccia «le circolari ministeriali in ordine all’assenso dei genitori all’allontanamento degli allievi.

Si tratta di direttive che fanno riferimento a situazioni ordinarie, fisiologiche – spiegano i giudici –, nelle quali l’allontanamento stesso sia determinato da banali contingenze esistenziali; e non si riferiscono per nulla a quelle in atto, impellenti e drammatiche, in relazione alle quali era anche formalmente previsto un ordine di evacuazione affidato al preside».

Nel rinviare alla lettura delle motivazioni qualsiasi commento, l’avvocato Buonocore si limita a ricordare la data del prossimo 19 aprile, quando il tribunale di sorveglianza di Trieste deciderà se confermare o meno l’affidamento in prova ai servizi sociali.

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