La classe alveare senza sentimenti

Camon: le cabine in plexiglas, per quanto siano trasparenti, isolano l’alunno. Frammentano la classe, che non è più una classe unitaria, ma un insieme di tante unità
Senior students wait for class to begin with plastic boards placed on their desks at Jeonmin High School in Daejeon, South Korea, Wednesday, May 20, 2020. South Korean students began returning to schools Wednesday as their country prepares for a new normal amid the coronavirus pandemic. (Kim Jun-beom/Yonhap via AP)
Senior students wait for class to begin with plastic boards placed on their desks at Jeonmin High School in Daejeon, South Korea, Wednesday, May 20, 2020. South Korean students began returning to schools Wednesday as their country prepares for a new normal amid the coronavirus pandemic. (Kim Jun-beom/Yonhap via AP)

Ogni studente sarà isolato dentro una cabina in plexiglas: alta, quadrata, trasparente. Vedrà e sentirà tutto, ma sarà separato da tutti. Così la ministra dell’Istruzione pensa di riaprire le scuole a settembre.

Sulle cabine in plexiglas cominciano a circolare immagini e disegni: si vedono gli studenti chiusi ciascuno dentro una cabina di plastica sorprendentemente alta, come quelle dei telefoni pubblici di una volta. Ogni studente ha uno sgabellino e un tavolinetto, piccolo piccolo.

Nei disegni che girano si vede una ragazza che, seduta al suo posto, volta la testa verso sinistra, dove sta un compagno di classe. Con lo sguardo cerca un dialogo. Guardo l’immagine e mi domando: «Saranno queste le aule dove da settembre vivranno l’anno scolastico i nostri figli?

E come sono, meglio o peggio delle aule aperte, nelle quali abbiamo studiato e insegnato noi? Un anno scolastico trascorso in queste aule dai nostri figli sarà come un anno scolastico trascorso da noi nelle nostre aule?».

Rispondo: certamente no. Sarà meno eccitante finché ci vai e meno memorabile quando ne esci. Non sto criticando la povera ministra: si trova di fronte un problema, il virus, che forse non ha altra soluzione.

Ma è giusto che teniamo conto che gli anni della scuola dell’obbligo costituiscono un periodo che s’impianta a fondo nella coscienza e nella memoria dei nostri ragazzi, non si cancella più. Se educare un ragazzo è come costruire una casa, in questi anni si gettano le fondamenta.

Queste cabine in plexiglas, per quanto siano trasparenti, isolano l’alunno. Frammentano la classe, che non è più una classe unitaria, ma un insieme di tante unità.

Dalle medie al liceo, il professore sa che la scolaresca è un intreccio di simpatie (al liceo si possono già chiamare amori, e gli amori liceali son più drammatici di quelli universitari), per cui, entrando in classe, il primo maschietto a destra simpatizza per la terza ragazzina a sinistra: la classe è una ragnatela di rapporti.

Le cabine spezzano questa ragnatela, la classe sarà meno compatta. Nella classe aperta si aveva la sensazione che la filosofia scendeva uniformemente sulla testa di tutti. E nei compiti scritti si copiava. In questa classe-alveare ognuno riceve la sua porzione di cultura dall’alto, e nessuno può copiare da nessuno.

La classe di una volta era una camerata. La classe da settembre sarà un alveare di celle. Sarà più difficile per i ragazzi trasmettersi il virus. Ma anche i sentimenti.©
 

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