La Consulta boccia il welfare padano in versione soft
TRIESTE. Neanche il welfare padano “annacquato” convince la Corte Costituzionale. Ieri la Consulta ha bocciato anche la legge 16 del 2011 con la quale la Regione aveva modificato l’originaria impostazione dell’accesso alle prestazioni sociali, lasciando vincoli di residenza ma rendendoli meno restrittivi: 24 mesi in Friuli Venezia Giulia e 5 anni in Italia per poter ottenere i benefici del welfare regionale, relativi ai servizi per l’infanzia, all’edilizia popolare nonché al fondo per il contrasto alla povertà.
La mediazione all’interno dell’allora maggioranza di centro-destra, dopo la prima bocciatura della precedente norma, non ha però convinto il Governo che aveva impugnato la legge e ieri ha avuto ragione.
La Corte ha infatti dichiarato l’illegittimità costituzionale di quegli articoli che, appunto, pongono i limiti di residenza in Italia e in Friuli Venezia Giulia, indicando chiaramente come l’unico requisito in questo senso si la residenza sul territorio, senza paletti temporali.
La Regione, spiega infatti la sentenza, può «favorire, entro i limiti della non manifesta irragionevolezza, i propri residenti, anche in rapporto al contributo che essi hanno apportato al progresso della comunità operandovi per un non indifferente lasso di tempo, purché tale profilo non sia destinato a soccombere, a fronte di provvidenze intrinsecamente legate ai bisogni della persona, piuttosto che al sostegno dei membri della comunità».
La Consulta riconosce che «nel rispetto dei diritti fondamentali dell’individuo assicurati dalla Costituzione e dalla normativa internazionale, il legislatore possa riservare talune prestazioni assistenziali ai soli cittadini e alle persone ad essi equiparate soggiornanti in Italia, il cui status vale di per sé a generare un adeguato nesso tra la partecipazione alla organizzazione politica, economica e sociale della Repubblica, e l’erogazione della provvidenza». (r.u.)
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