La cura dei disturbi alimentari potrà avvenire nel metaverso
Curare disturbi alimentari reali con il cibo virtuale? Sembra fantascienza, ma non lo è, assicura Peter Von Larsson, identità virtuale – o avatar, se preferite – di Pietro Cipresso, professore associato di psicometria all’Università di Torino e ricercatore senior al laboratorio di neuropsicologia applicata dell’Istituto Auxologico di Milano.
Considerato uno dei maggiori esperti a livello nazionale sull’utilizzo della realtà virtuale nell’ambito delle neuroscienze, Cipresso è stato uno dei protagonisti della tappa udinese di Alfabeto del Futuro, dedicata all’innovazione in campo agroalimentare.
Più correttamente a intervenire non è stato Cipresso, ma Peter Von Larsson, intervistato nel mondo virtuale del metaverso da Luca Ubaldeschi, responsabile dell’iniziativa Alfabeto del Futuro direttore del secolo XIX di Genova.
Diversi i set in cui si sono confrontati gli avatar di Cipresso e Ubaldeschi, in uno scenario da gioco di ruolo, per toccare però temi tutt’altro che ludici. Il metaverso, del resto, è realtà virtuale solo in senso tecnico: per il grande mondo di internet e dei social, per gli investimenti, l’economia e la finanza si tratta di uno scenario sempre più concreto e reale.
A confermarlo – ha sottolineato Ubaldeschi – anche il cambio di nome della holding Facebook, ribattezzata Meta dal suo fondatore Mark Zuckerberg. Ma può il metaverso riprodurre in modo credibile anche stimoli fisici come quelli alimentari?
«Nel metaverso – ha spiegato Cipresso – il cibo ha sicuramente una funzione scenografica, contribuendo a rendere più verosimile l’ambiente e il comportamento degli avatar. Il cibo è parte di una rappresentazione della realtà che ci circonda, che può essere una casa o un bar, ma se ne può fare un uso più funzionale, quando ad esempio il nostro avatar, in un gioco di ruolo, ha bisogno di alimentarsi per recuperare energia persa in battaglia».
Ma c’è di più. La nostra reazione agli stimoli alimentari nella realtà virtuale fornisce indicazioni utili anche a livello clinico. È l’abc della cosiddetta cyberterapia, «una branca della ricerca che si occupa di inventare e di convalidare l’uso di tecnologie immersive in affiancamento ad una serie di terapie».
Diverse le applicazioni concrete citate da Cipresso: «Si possono usare ambienti immersivi per fare riabilitazione fisioterapica o per recuperare stress importanti come quelli patiti causa di incidenti, guerre o durante la stessa pandemia. Ci sono anche protocolli medici che usano la realtà virtuale per curare disturbi alimentari come la bulimia o l’anoressia. La ricerca ha dimostrato la loro efficacia».
In che modo? «Un paziente obeso, ad esempio, può essere trasportato in una replica altamente realistica di un supermercato, in cui può muoversi, interagire, fare scelte che il terapeuta controlla e dirige, esercitandosi a gestire il suo rapporto con il cibo.
Del resto le prime sperimentazioni dei metaversi come ambienti di esposizione e di controllo delle reazioni, con paziente e terapeuta rappresentati dai rispettivi avatar, risalgono a quindici anni fa, e sono certo che questa nuova ondata di grande interesse per la realtà virtuale e il metaverso possa proseguire nel solco di quelle sperimentazioni e produrre strumenti sempre più utili ed efficaci in campo clinico».
Riproduzione riservata © Messaggero Veneto