La frana su passo Monte Croce: resta ancora il sogno del traforo, ma si punta anche su una nuova strada

Carpenedo: «Aggiustare è facile, mettere in sicurezza quel versante è impossibile»

Alberto Terasso

C’è un video su YouTube che documenta con precisione la devastante frana – 30 mila metri cubi con massi che arrivano a 50 metri cubi di volume – che ha travolto parte della strada per monte Croce monte Croce Carnico.

L’hanno girato gli austriaci, quasi a farci sapere che delle questione si occupano più loro che noi, distratti osservatori delle cose di periferia, anche se, a dire il vero, stiamo parlando dell’unico valico intermedio tra San Candido e Tarvisio.

E, soprattutto, rendendosi ben conto – loro, gli austriaci – che molto probabilmente ci vorranno un paio d’anni per ripristinare – se si deciderà così – questo collegamento. «Serviranno due anni, ma ad essere veloci», dice l’ingegner Giovanni Puntel.

Il Passo di Monte Croce è irraggiungibile, tempi lunghi per riaprire la strada
I tornati distrutti e la strada chiusa a Paluzza verso il passo di Monte Croce Carnico dopo la nevicata della notte fra sabato e domenica

Eppure, il passo di monte Croce è come una fissazione che ha impegnato fior di amministratori, alcuni visionari e altri incrollabili militanti della possibilità che la montagna e, soprattutto, una montagna che supera le frontiere poteva dare.

È la storia di un traforo mancato di cui si parla quasi segretamente, filtrato da società per azioni chi si perdono nel tempo come aggiungendo anni ad anni, con una certa insistenza nel secondo dopoguerra e un fervore degno della buona causa negli anni ’60 e ’70.

Nel 1967 si costituisce a Udine la società per il traforo, 10 milioni di capitale, e con una crescendo di sogni arriva Autovie venete, fino allo spegnersi degli Anni Ottanta quando si arriva a un accordo italo-austriaco con tanto di note spese: 90 miliardi di lire li metterà l’Italia, 40 il Friuli Venezia Giulia, 360 milioni di scellini l’Austria, 4 miliardi la Carinzia. In un vortice di denaro che ci ricorda il secolo scorso, si spegna anche il progetto del traforo.

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«Un’idea nata sotto una cattiva stella, sfortunata» dice Diego Carpenedo, prima ingegnere e poi politico, vista la materia. Carpenedo ci ha scritto anche un libro dal titolo non particolarmente originale (“La strada di monte Croce Carnico”), ma che mette puntualmente insieme una vicenda “sfortunata”, a partire dalla sfortuna di costruire la strada sotto il Pal Piccolo – erano i primi anni Trenta – per evitare il fuoco austriaco. Con il risultato di andare a piazzarla a tiro – e pesante – di macigni e neve.

A questo punto però servono soluzioni anche perché non è più tempo di esperimenti. Idea sfortunata finché si vuole, ma questa volta è, saccheggiando il luogo comune, la tragedia è stata solo sfiorata, quindi, la fortuna ci ha messo del suo.

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Soluzioni, allora. Stefano Mazzolini, da Tarvisio, fa sapere che il traforo s’ha da fare, quando e come restano un problema, visto che oltre mezzo secolo di sogni si sono infranti nei pressi di Mauthen prima e di Vienna poi, un po’ per problemi ambientali con tanto di referendum, un po’ per questioni di geopolitica delle infrastrutture, diciamo, senza contare che non è che da questa parti si sia spinto molto.

Se la fame aguzza l’ingegno si trovò una soluzione. Raccontano di un incontro datato 2019 con i vertici Anas a Venezia in cui venne prospettata la possibilità di mettere a terra il progetto di variante elaborato da Puntel. L’ingegner Di Bernardo conosceva bene il problema di monte Croce avendo diretto Anas Friuli Venezia Giulia.

«Mi ricordo anche che – prosegue Carpenedo – si informò del costo delle opere e aggiunse che Anas poteva finanziarle, ponendo come unica condizione che la Regione si dichiarasse d’accordo sulla soluzione adottata».

Dai vertici dell’Anas venne quindi un via libera di massima, a patto che fosse coinvolta la Regione: «Fateci parlare con Fedriga», così è stata riassunta la conclusione dell’incontro, almeno ad ascoltare la vulgata. Quattro anni dopo non sembra che il contatto sia stato perfezionato.

Ora le possibilità rimaste sono poche e si concretizzano nell’imperativo categorico: fare in fretta. I tempi per il ripristino della strada rimandano al 2025, ma la consistenza della roccia soprastante non dà garanzie. E sicuramente si dovrebbe fare di nuovo riferimento all’eterna politica della manutenzione.

«Non scherziamo. La messa in sicurezza di quel versante propedeutica alla sistemazione della strada – spiega ancora Carpenedo – è da ritenere una missione impossibile».

In sostanza si tratterebbe di una toppa in attesa della prossima frana. «Certo, intanto dobbiamo arrivare al Passo – dice ancora l’ingegner Puntel – ma non su quella strada, troppo stretta, con gli autotreni che non ce la fanno, non a prova d’inverno e di frane».

Torna a bomba allora la questione vera: spostare la strada. Si tratta sostanzialmente di trasferire l’arteria sulla destra orografica, verso rio Collinetta e rio Monumenz.

Un percorso in pendenza costante, al riparo da colate di sassi e neve, su terreno alberato, insomma un tracciato per il quale non sia necessario invocare la fortuna.

E il traforo? Tenere accesa la fiammella costa solo un po’ di più attenzione per la Montagna, ma i tempi, il vero nemico di certe opere, soprattutto se coinvolgono due Stati e uno dei due è l’Italia, sono biblici.

Un passo alla volta, come si conviene in Montagna, l’importante è partire. Con la variante e, magari, con un commissario ad hoc.

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