La grande solidarietà delle famiglie: ogni estate 200 bimbi in vacanza in Friuli

Beppino Burelli di Fagagna, uno dei soci storici del Comitato, ricorda i viaggi infiniti con le corriere e l’enorme umanità di quel popolo che fu colpito da lutti e numerose tragedie

UDINE. “Un figlio per un mese”. Era lo slogan con il quale il Comitato Chernobyl, ancora oggi attivo, lanciava la campagna di ospitalità dei bambini bielorussi, che venivano da quelle città contaminate dalla nube maledetta. E dal 1990 arrivarono ogni agosto in Friuli circa 200 ragazzini, tra i 7 e i 14 anni. Interminabili viaggi con le corriere (solo negli ultimi anni sostituite dai voli low cost), ma uno scambio solidale fortissimo.

Un’occasione di crescita eccezionale, non solo per chi arrivava, anche per chi apriva, a braccia aperte, le porte della sua casa. Il Comitato esiste ancora, è presieduto da Angelo Rivilli di Lestizza, ma gli anni d’oro sembrano alle spalle.

Attualmente giungono dalla terra di Chernobyl una cinquantina di giovani, per lo più dei “ritorni”. E questo è il rammarico di Beppino Burelli, di Fagagna, uno dei responsabili di zona, memoria storica di questa iniziativa.

«A me dispiace che lo scambio stia scemando - dice - era formativo soprattutto per i nostri figli, che avevano l’opportunità di formarsi, di crescere. Purtroppo i tempi sono cambiati. Un po’ è ormai lontano il ricordo di quella tragedia, un po’ ha inciso in modo negativo la nostra crisi economica».

Dallo scrigno dei ricordi di Burelli emergono aneddoti, storie, curiosità, amicizie. E il filo conduttore è rappresentato dall’umanità e dalla fratellanza. «Tutto nacque grazie all’idea di Antonio Galvagna di Moggio - racconta Burelli -, fu il primo ad attivarsi.

Si seppe quasi subito cosa era accaduto in quei Paesi lontani, che all’epoca erano ancora più distanti perchè da loro ci divideva il “muro”, da una parte l’Occidente, dall’altra il regime comunista, quello che veniva considerato il “male assoluto”.

Ci organizzammo in fretta, riuscendo a preparare i primi viaggi. Arrivavano in Friuli Venezia Giulia, un po’ in tutte le province, circa 200 ragazzini l’anno. Quando andavamo ad accoglierli erano sfiniti, per il lunghissimo viaggio in corriera: più di 2 mila chilometri, ma ci impiegavano anche 36 ore, perchè nonostante avessero visti e documenti in regola, al confine tra Polonia e Bielorussia restavano fermi anche 6, 8 ore.

Poi, grazie alle tariffe aeree più economiche, si optò per il volo low cost, andavamo a prenderli a Venezia, a Ronchi perfino a Bergamo.

Erano sia maschi che femmine, dai 7 ai 14 anni. Ogni famiglia friulana ne ospitava uno e si stava così per un mese, come una vera e propria “comunità” allargata. Alcuni di loro, che si trovavano particolarmente bene o che avevano instaurato rapporti profondi, tornavano l’anno successivo. Pensi che una ragazza, nel frattempo diventata donna, si è sposata qui in Italia e un’altra, a Gorizia, riuscì a compiere gli studi universitari fino alla laurea».

Naturalmente non mancavano le difficoltà. Perchè quei poveri piccoli erano talvolta ammalati, spesso denutriti, o bisognosi di cure. Ma anche in questo caso la generosità dei friulani andò oltre i confini. «Avevano grandi problemi alimentari - afferma ancora il rappresentante del Comitato - ma noi riuscimmo a coinvolgere un pool di medici e pediatri che li visitavano e li curavano gratis.

C’era chi aveva la miopia e gli consigliavano gli occhiali, chi aveva bisogno di cure dentarie e faceva le otturazioni, chi doveva seguire una terapia e gli si prescrivevano le medicine adatte. E poi le famiglie, in quel mese, davano il massimo per farli stare a loro agio, da ogni punto di vista: si andava al ristorante, si faceva qualche piccolo viaggio per conoscere il nostro Friuli».

Ma lo scambio con la Bielorussia non era a senso unico. «A maggio andavamo a trovarli noi a casa loro - conclude Beppino Burelli -. Io ho avuto la fortuna di fare diversi viaggi, ma quelli nei luoghi di Chernobyl sono stati in assoluto i più toccanti. Ho visto negli occhi della gente un’umanità impressionante, quei padri e quelle madri ci dimostravano un’immensa gratitudine perchè avevamo ospitato i loro bambini.

Vent’anni fa la Bielorussia aveva problemi su problemi: oltre a Chernobyl doveva fare i conti con la caduta del muro di Berlino, con la fine dell’Urss e con una conseguente gravissima crisi economica: noi trovammo una situazione drammatica, che si fa fatica a descrivere adesso. Ora loro si sono un po’ risollevati, almeno dal punto di vista economico stanno meglio. Da parte nostra siamo stati felici di aver costituito il Comitato e di aver portato qua migliaia e migliaia di ragazzini meno fortunati dei nostri. Un’esperienza indimenticabile». (m.ce.)

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