LA LETTERA DEL GIORNO No ai cattivi maestri in cattedra

 

“Le donne si ribellano agli uomini sbagliati” (Messaggero Veneto di sabato 25 maggio) sostiene il noto scrittore veneto di "gialli noir" Massimo Carlotto, ai margini di un convegno. Vien ancora oggi da chiedersi a chi si sia ribellata invece Margherita Magello, studentessa di soli ventiquattro anni massacrata con 59 coltellate nella sua casa di Padova il venti gennaio di un lontano e forse dimenticato 1976. Il dubbio assale perchè secondo giustizia italiana e dopo dieci processi, oltre ottanta giudici e persino una richiesta di revisione pena della Corte Costituzionale (caso eccezionale in Italia), l’unico condannato per quel reato è (e resta) proprio Massimo Carlotto, che a causa di quella vicenda ha scontato sei anni di carcere e ne ha evitati il doppio solo perchè graziato dall’allora Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro nell’aprile del ’93. La richiesta di grazia presentata dai genitori fu firmata dal Gotha della sinistra italiana della quale Carlotto, militante di Lotta Continua all'epoca dei fatti, ne era diventato un’icona al pari di Adriano Sofri e per citare alcuni nomi tra i firmatari: Iotti, Imposimato, Pisapia, Neppi Modona. Tale provvedimento tuttavia, a norma di diritto, estinse la pena non il reato, tantomeno la condanna passata in giudicato. Condanna emessa al tempo in due distinte occasioni dalla Corte d’assise d’appello di Venezia, ai cui occhi non giovò mai indubbiamente il comportamento dell’allora imputato, fuggitivo latitante, in Francia e Messico, per tre lunghi anni. Catturato solo per delazione ed estradato poi, nonostante la rete politico-culturale di protezione dell’intellighenzia di casa nostra e d’oltre frontiera che coinvolse persino lo scrittore brasiliano Jorge Amado (Battisti docet).

Il diritto pieno a rifarsi una vita, anche magari di successo, dopo l’iter giudiziario è garanzia eccelsa del nostro ordinamento giuridico, ma quello che deve restare a memoria non è Carlotto che oggi “pontifica” sulla violenza alle donne, bensi proprio il corpo di quella donna allora straziato. Margherita, una giovane ragazza che guardava alla sbocciante primavera della sua esistenza conclusasi invece purtroppo martoriata nell’oscuro ripostiglio di casa sua un freddo giorno di gennaio di tanti anni fa.

Pierpaolo Lupieri

Tolmezzo

La risposta di Gervasutti

Negli anni Settanta e Ottanta l’Italia era caratterizzata dalla “lunga notte”, vale a dire da un periodo in cui la repubblica era traballante, ripetutamente colpita da una violenza contro la quale era molto difficile combattere. Essa era impastata di ideologie che si richiamavano alla politica, ma non mancavano gli episodi di criminalità senza aggettivi. Uno dei casi più clamorosi ebbe per protagonista Massimo Carlotto, che ancor oggi simbolicamente rappresenta un “personaggio” dell’epoca. È giusto, è logico, è accettabile che sia così? Ognuno la pensa come vuole, per ciò dico subito che io concordo con il signor Lupieri e mi ribolle un po’ il sangue nel ricordare che un pluricondannato, evaso e latitante fu graziato dall’allora presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, rimasto famoso per avere schiaffeggiato in un ristorante una signora che portava una generosa scollatura. Fu proprio una ragazza di 24 anni, Margherita Magello, massacrata a colpi di pugnale, a dare vita - per così dire - al “Fuggiasco” Carlotto. Siamo a Padova nel 1976; Massimo ha 19 anni, è militante di Lotta Continua, e quella mattina si trova a passare davanti la casa della sorella, che abita nello stesso stabile di Margherita. Sente delle grida, entra nell’appartamento che ha la porta aperta, e scopre in un ripostiglio il corpo della ragazza, nuda e agonizzante. Carlotto è acccusato di omicidio, perché i suoi calzoni sono macchiati del sangue di Margherita ed è soltanto dopo avere raccontato l’episodio a due amici e a un avvocato che si presenta ai carabinieri ed è arrestato. La corte d’assise assolve l’imputato per insufficienza di prove, in appello viene invece condannato a 18 anni, pena poi confermata dalla Cassazione. Carlotto taglia la corda e per tre anni passa dalla Francia al Messico, dove però la polizia lo acciuffa e lo rispedisce in Italia. Ed ecco prontamente nascere l’immancabile Comitato internazionale di giustizia per Massimo Carlotto, che avvia una campagna di informazione e una raccolta di firme per la revisione del processo. Dopo la mobilitazione di numerosi intellettuali di sinistra, nel 1989 la Cassazione ordina la revisione e rinvia gli atti alla Corte d’appello di Venezia, che un anno dopo emette un’ordinanza di sospensione della causa con rinvio alla Corte costituzionale; mentre si attende quest’ultima sentenza, il presidente del Collegio è andato in pensione, per cui il processo è da rifare. A Carlotto sono inflitti 16 anni di carcere, ma il condannato può riprendere la sua vita in libertà nel 1993, grazie alla larghezza di vedute di Scalfaro. La vicenda, comunque triste e vergognosa, ha lasciato ovviamente il segno nel “ragazzo che fu” e oggi che si avvicina ai 60 anni riscuote i consensi per la sua attività di scrittore, saggista e sceneggiatore. A suo modo, ha pagato il conto, ma non vedo la necessità di metterlo in cattedra.

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