LA LETTERA DEL GIORNO Università e qualità degli studi

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Sostenere che con la cultura non si mangia è un’idiozia come ritenere che tutte le spese per la cultura siano sagge e opportune. La moltiplicazione delle università è stato un processo del tutto sconsiderato dell’ultimo ventennio, teso a soddisfare le ambizioni dei politici e dei gruppi di opinione locali, non certo a diffondere più capillarmente la cultura. Una proliferazione di dimensioni incredibili, da scuola media. Sono addirittura trecento le sedi universitarie. Mediamente una quindicina per regione. Assente ogni considerazione e valutazione del rapporto costi/benefici. In queste sedi distaccate si svolge soltanto attività didattica e non certo della migliore, affidata com’è ai docenti meno accreditati. Di ricerca nemmeno parlarne. Non ci si è posti la domanda se è l’ Università che deve andare a casa dello studente o lo studente all’Università, tramite la moltiplicazione di borse di studio ai capaci e meritevoli e strutture di accoglienza agli allievi fuori-sede. Ma non c’è speranza che si porrà mano a una revisione di questo spreco se non si è capaci di abolire le province come si promette da tanto tempo.

Ezio Pelino

Lignano Sabbiadoro

La risposta di Gervasutti

Uno dei miei più appassionanti maestri era Leo Longanesi (fra poco dirò di chi si tratta, perché con i tempi che corrono forse o quasi certamente il nome possa dire poco o niente), il quale ebbe più volte occasione di affermare che «tutto quello che non so l’ho imparato a scuola».

Longanesi era nato a Bagnacavallo e se ne vantava, perché nonostante quelle origini, si era imposto nell’Italia delle lettere e del giornalismo.

E lo aveva fatto navigando sempre contro corrente (piccolo di statura, si definiva “un carciofino sott’odio”); la sua penna, più acuminata di un fioretto, era intinta sempre in qualche acido corrosivo e ne restava segno negli articoli di giornale, nei settimanali, nei libri, nella pittura.

Non risparmiava gocce brucianti neppure alla figura del Duce, ai gerarchi e al fascismo nei tempi in cui era difficile galleggiare, sicché gli intellettuali onesti trovano tuttora difficoltà a dargli una collocazione politica (l’allievo più simile era Indro Montanelli).

Non so se a Bagnacavallo è stata aperta un’università o una sede distaccata di un ateneo, ma non stento a crederlo, mentre sono certo che non è in circolazione un altro Longanesi.

In questo nostro Paese delle arti, delle lettere e delle scienze stiamo ancora discutendo su come, dove, quando e perché è opportuno mettere in piedi atenei dentro i quali non si sa neppure quali corsi aprire e con quali finalità.

Il caos la fa da padrone, alimentato - tanto per cambiare - da interessi politici personali o di partito.

Ogni tentativo di razionalizzare gli studi universitari e la formazione superiore si infrange, purtroppo, contro una realtà alla quale sembra impossibile dare efficaci risposte.

Un esempio: le proiezioni statistiche dicono che fra dieci anni in Italia ci sarà bisogno di un numero di medici ben superiore a quello che oggi inopinatamente limitato dal numero chiuso e dai test di ammissione; non ci sono spazi sufficienti, dicono i soloni e nel contempo istituiscono un corso per la dieta dei cani.

Non mi pronuncio sui sistemi di arruolamento dei docenti e per carità di patria sorvolo sulla preparazione di cui possono vantarsi i neo-dottori.

Il nostro lettore fornisce qualche condivisibile orientamento, al quale - se mi è consentita la battuta - aggiungo uno mio: lasciamo perdere i poeti e da navigatori prendiamo il mare della santità.

Il futuro sarà migliore.

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