La lettera del primario dimissionario che denuncia le carenze dell’ospedale

Per otto anni ha diretto, riscuotendo stima e consensi, il reparto di Ortopedia e Traumatologia dell’ospedale di Udine. Il dottor Silvio Demitri se n’è andato sbattendo la porta e denunciando la difficile situazione di un reparto intasato dall’affluenza di pazienti, corroso dalla mancanza di posti letto e dalla saturazione delle liste chirurgiche, dove le guardie notturne sono coperte da medici anziani, il carico di lavoro abbonda e spesso non lascia spazio alla valorizzazione del personale.
la denuncia
Dopo un ventennio di impegno nel Servizio sanitario nazionale, quello che è stato il primario ortopedico a Udine più longevo negli ultimi 25 anni se n’è andato formulando un’aperta denuncia e l’ha inviata al Collegio dei direttori di Soc, al Collegio dei primari, al presidente dell’Ordine dei medici, al direttore facente funzione della Traumatologia, come pure alla direzione generale Asui di Udine e all’assessore regionale. «Ho scelto di dimettermi e di dedicarmi alla libera professione perché continuare così non era possibile – è lo sfogo di Demitri –. È stata una scelta difficile, ma per fare il medico avrei voluto essere messo nelle condizioni di farlo al meglio. La Sanità regionale ha l’opportunità di cambiare, mi auguro che si colga l’occasione di rivedere l’intero sistema dell’Area vasta, specialmente per la gestione delle urgenze, perché l’ospedale di Udine non può farsi carico di tutte le emergenze senza la possibilità di trasferire i pazienti meno gravi. In questi anni, a causa del carico assistenziale, troppe volte abbiamo dovuto ricorrere ai doppi letti, la settimana scorsa in reparto ce n’erano ben 15, io ho perfino dovuto ricoverare alcuni dei miei pazienti in Ginecologia».
Il sovraffollamento
«L’ospedale di Udine, certamente la struttura più sicura dell’Area vasta per il trattamento di patologie e traumi complessi, è perennemente sovraffollato da un’insolubile commistione di casi: tanti “banali”, molti “gravi” e tutti quelli “emergenti” per quasi l’intera regione. È mia opinione che non sia possibile considerare le strutture operative sotto maggiore pressione dell’ospedale di Udine alla stregua di quelle degli altri ospedali di rete. La sola differenza nella dimensione non è sufficiente a garantire una funzionalità adeguata» è la prima considerazione che fa Demitri scodellando i numeri dell’Ortopedia udinese: circa 300.000 persone che vi affluiscono per le funzioni di base, 550.000 per quelle a complessità intermedia e attorno al milione per la traumatologia a complessità più elevata, mentre le ortopedie degli ospedali di rete hanno un bacino di utenza inferiore a 100.000 abitanti. Di fatto, in caso di trauma severo e grazie all’eliambulanza, l’ospedale di Udine è il porto di arrivo per il 90% dei politraumi regionali. E questo, secondo l’ex primario, perché il Pronto soccorso ortopedico di Udine è l’unico di tutta l’Area vasta in guardia attiva sulle 24 ore e il carico assistenziale è sproporzionato rispetto alle altre unità ortopediche intra ed extra aziendali. «Le risorse e le possibilità di adeguare la risposta alla variabilità delle richieste rappresentano una forte criticità nella gestione quotidiana dei ricoveri» assicura Demitri.
Le carenze
La quotidianità dell’attività chirurgica traumatologica, che per definizione in ogni sistema rappresenterebbe un’urgenza, a Udine risulta inceppata per la mancanza di percorsi realmente responsivi alla variabilità dell’affluenza e della complessità, è la denuncia di Demitri. «I reparti maggiormente a contatto con l’urgenza soffrono la mancanza di un dipartimento di Emergenza Urgenza e Accettazione e di una sala operatoria di base polispecialistica con assistenza anestesiologica attivabile prontamente e accessibile nelle vicinanze del Pronto soccorso – esordisce l’ortopedico –. Casi di piccola chirurgia urgente o di cure estemporanee indifferibili, intasano le strutture. I reparti chirurgici si fanno carico anche di ricoveri assistenziali la cui dimissione risulta difficile. È impossibile trovare disponibilità tempestiva negli ospedali di rete e sul territorio per patologie minori, più di tipo socio-assistenziale che di impegno diagnostico-terapeutico. Non risulta a oggi attiva un’Osservazione breve intensiva interdipartimentale dove i pazienti possano essere curati e assistiti in attesa di collocamento, né è identificato un Bed manager che possa distribuire il carico assistenziale dei ricoveri».
Il gap tecnologico
Anche sul fronte dell’innovazione tecnologica l’ex direttore indica alcune carenze: «La Traumatologia è stata in questi anni sottovalutata ai limiti dell’inadeguatezza – esordisce –. Non è stato dimostrato alcun interesse per gli aggiornamenti tecnologici o manutentivi. Basti solo dire che abbiamo atteso per tre anni due pulsossimetri di reparto, che la manutenzione dei ventennali dispositivi di trazione annessi ai letti deve ancora avvenire, che per mesi litigavamo tra reparti i sistemi di compressione pneumatica, che per ottenere un ecografo obsoleto (dismesso da altra struttura) ci abbiamo messo più di un anno, che gli apparecchi di radioscopia delle sale appartengono a generazioni precedenti».
Anziani di guardia
È un ambiente con poche possibilità di incentivare e valorizzare colleghi e personale quello descritto dall’ex direttore di Ortopedia e Traumatologia. «Se non bastassero le difficoltà a promuovere un’adeguata formazione extra-aziendale – dice –, l’appiattimento delle carriere e la possibilità di autonomizzare i professionisti in percorsi super-specialistici si sposa malamente con la necessità di coprire i turni di servizio. Le guardie notturne di dodici ore sono coperte anche da medici di oltre 60 anni e non certo per facilitare la formazione chirurgica dei colleghi più giovani o per il compenso aggiuntivo di circa un euro l’ora, ma per necessità. Si aggiunga l’impossibilità di affiancamento dei medici specializzandi universitari nelle attività routinarie, di reparto, pronto soccorso diurno e ambulatorio, per valutare le ricadute nel rapporto formativo. Il risultato attuale è evidente: per le fratture del bacino (dove Udine era nota in ambito ortopedico intra ed extraregionale) ora bisogna ricorre a un super-specialista esterno a pagamento».
Volontari in corsia
Uno dei problemi evidenziati riguarda la difficoltà di completare la formazione di giovani chirurghi in questo settore. «Quando vidi che alcuni dei colleghi più o meno giovani finivano il turno di notte al di fuori dell’orario di servizio e si fermavano per assistere a procedure complesse, capii che sarebbe stato difficile ottenere una formazione completa e tempestiva – segnala –. Nonostante tutto, colleghi, professionisti, infermieri, operatori sanitari e volontari ogni giorno collaborano nel fronteggiare la mancanza dei posti letto e la saturazione delle liste chirurgiche, spesso solo per “friulana” abnegazione. A tutt’oggi – conclude – mi chiedo se nei processi di aziendalizzazione e tra i passaggi amministrativi dell’ospedale fino all’integrazione in Asui si siano persi di vista gli interessi del sistema sanitario regionale, privilegiando invece dinamiche organizzative poco influenti sulla risposta alla richiesta sanitaria». —
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