La mamma di Tatiana: «Il gesto di Calligaris è uno sfregio a nostra figlia»
UDINE. «Dopo quel gesto, il dolore che proviamo è ancora più profondo. Non sappiamo a chi fosse rivolto, ma fatto in quel contesto, al termine dell’udienza, rappresenta senz’altro uno sfregio nei confronti della nostra Tati e anche delle autorità che stanno lavorando per trovare una spiegazione al suo omicidio».
La forza d’animo e la dignità di Meri Conchione, la mamma di Tatiana Tulissi, si misurano da sempre nella compostezza delle sue parole.
Li ha conservati anche martedì 9 luglio, allontanandosi dal tribunale e osservando a sua volta incredula, insieme ai figli Marzia e Marco, la risata con cui Paolo Calligaris, l’imprenditore di 49 anni accusato di averle ucciso la figlia, ha accompagnato il segno “V” mostrato ai giornalisti che lo attendevano all’uscita dell’aula.
Non un segno di vittoria, a giudicare dalla posizione della mano, quello scelto dall’imputato per accomiatarsi dal palazzo di giustizia, dopo le oltre cinque ore di arringa del primo dei suoi tre difensori: se l’indice e il medio vengono alzati volgendo le nocche verso l’interlocutore, nei Paesi anglosassoni il gesto assume un significato di sfida.
E visto che alla nostra richiesta di spiegarci cosa volesse dire, Calligaris ha risposto con un “no comment”, non resta che andare per esclusione.
«Lascio agli altri giudicare quanto avvenuto – commenta mamma Meri –. Io posso soltanto dire che continuiamo a stare male. Sempre di più.
Era successo già sentendo la requisitoria del pm (quando la famiglia era venuta a conoscenza di particolari tristi della relazione di Tatiana con Calligaris e, in particolare, del modo in cui lui si comportava con lei, ndr) e si è ripetuto martedì, vedendolo compiere quel gesto».
Una mancanza di rispetto verso tutti, a prescindere dall’esito che il procedimento penale avrà. «Uno sfregio – ripete – prima di tutto nei confronti di Tati, e poi della nostra famiglia e delle persone che si stanno spendendo per trovare il colpevole. A differenza sua – aggiunge – che non ha fatto niente per lei e per scoprire chi è stato a ucciderla».
Era la sera dell’11 novembre 2008 - le 18.31, secondo la ricostruzione del pool di carabinieri che ha lavorato al caso - quando da un revolver calibro 38 (mai trovato) partirono i tre colpi che posero fine alla vita di Tatiana, all’età di 36 anni, nella villa di via Orsaria, a Manzano, dove abitava con Paolo.
Fu lui, alle 18.32 e poi di nuovo alle 18.42, a chiamare il 118. Il pm Marco Panzeri, da sempre fermamente convinto che a premere il grilletto fu Calligaris, ha chiesto la sua condanna a 16 anni di reclusione.
Un «impeto di violenza» determinato non da una rabbia momentanea, ma da un’insofferenza profonda e maturata negli ultimi tempi: questa la spiegazione degli inquirenti, che hanno indicato il movente nella «volontà di liberarsi della compagna», semplicemente perché, sul piano affettivo, non gli “serviva” più e non voleva saperne di avere un figlio anche da lei, specie per l’avversione dimostrata dai due ragazzi avuti dal primo matrimonio alla notizia dell’arrivo di un fratellino (un bimbo che Tatiana portava in grembo e che perse per cause naturali).
Un impianto accusatorio che il collegio difensivo ha cercato di smontare, punto per punto, nell’udienza di martedì, quando ad aprire la discussione è stata l’arringa dell’avvocato Rino Battocletti.
Martedì prossimo, 16 luglio, a continuare a insistere per l’innocenza di Calligaris saranno i colleghi Cristina Salon e Alessandro Gamberini. Poi, il 23 o, al più tardi, il 30 luglio, il gup Andrea Odoardo Comez emetterà la sentenza. —
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