La meccanica va verso lo stop: acciaio e alluminio agli sgoccioli
UDINE. Ormai non è più un problema di prezzo, le materie prime mancano e basta. L’industria meccanica del Nordest, con commesse già raccolte, deve fare i conti con la guerra in Ucraina. Il blocco dell’importazione di acciaio e alluminio dai due Paesi in guerra mette in difficoltà la produzione.
«La meccanica era tornata ai livelli del 2019, anche se rimaneva il problema della marginalità a seguito degli alti costi delle materie prime – spiega Federico Visentin, che guida la vicentina Mevis ed è numero uno di Federmeccanica –. Ora la guerra in Ucraina mette in estrema difficoltà il settore. Il governo deve aiutare le imprese che saranno vittime delle giuste sanzioni alla Russia. A Nordest c’era difficoltà a trovare dipendenti, improvvisamente si torna a parlare di esuberi».
L’attività produttiva metalmeccanica, dopo il rallentamento della fase espansiva osservata nel terzo trimestre del 2021, ha evidenziato risultati negativi.
Nel trimestre ottobre-dicembre, infatti, i volumi di produzione sono diminuiti a livello nazionale dell’1,8% rispetto al terzo, mentre la variazione positiva rispetto all’analogo periodo dell’anno precedente si è ridotta all’1,2% dopo il +6,4% del trimestre estivo. Il peggioramento trae principalmente origine dai risultati fortemente negativi del comparto degli autoveicoli.
Ai chip si somma ora il problema dei cavi: i più grandi produttori mondiali risiedono infatti in Ucraina. «Il costo energia è enorme, ma c’erano comunque buone prospettive di ripresa post-covid – commenta Luca Farina, presidente della Orion di Trieste, azienda che produce valvole in acciaio per l’industria petrolchimica – avevamo iniziato l’anno con ottimismo, questa guerra ha cambiato tutto. Nel 2022 ci attendevamo una buona ripresa: abbiamo commesse, anche in Russia. Le prossime settimane capiremo meglio».
La società ha chiuso il 2021 con un fatturato in crescita intorno ai 76 milioni, con un export del 90%, di cui 50% nei Paesi Arabi, il 20% con la Russia e altro 20% negli altri paesi. I principali clienti sono Saipem e Maire Tecnimont. La svalutazione del rublo colpisce le aziende clienti, che vedono aumentare del 50% il prezzo in pochi giorni.
«Stiamo cercando approvvigionamenti di materie prime altrove, ma i prezzi dei noli sono quadruplicati», aggiunge Farina. Ad Este ha sede Komatsu Italia Manufacturing, società appartenete alla multinazionale giapponese che fattura oltre 20 miliardi di dollari. Qui il problema del reperimento delle materie prime ha rallentato la crescita del fatturato.
«Quest’anno fiscale, che si conclude il 31 marzo, lo finiamo con un +25% rispetto 2020 e per il prossimo abbiamo una previsione del +20% rispetto il 2021 – commenta Francesco Blasi, Hr senior manager della società famosa per i suoi escavatori di grandi dimensioni –. Se avessimo avuto i materiali avremmo fatto +40%».
Il fatturato della società con sede nel Padovano nel 2020 è stato di 232 milioni di euro, dà lavoro a 600 dipendenti e ha come mercato di riferimento l’Italia per il 28%, Europa 60%, resto del mondo 12%. «Le criticità che c’erano sono rimaste, i costi energia sono ulteriormente aumentati – aggiunge Blasi – il nostro gruppo ha un fabbrica in Russia che realizza alcuni componenti, vedremo cosa accadrà».
Prima dello scoppio della guerra la Gasparini Industries di Istrana, con una produzione di presse piegatrici e cesoie di grandi dimensioni per la lavorazione della lamiera, ha raccolto commesse fino a novembre.
«Gli ordini ci sono, ora dobbiamo realizzarli, ma mancano le materie prime – dichiara Andrea Guderzo, amministratore unico della società con oltre 45 anni di storia –. Le acciaierie italiane stanno rifiutando tutti gli ordini, noi ci stiamo muovendo con altre vie alternative, ma tutti danno la stessa risposta negativa. Dopo lo scoppio della guerra il problema dei prezzi non si pone nemmeno, qui si parla di reperibilità delle materie prime». L’azienda trevigiana, che dà lavoro a 40 persone, nel 2021 ha registrato una crescita del fatturato sul 2019 del 10%, ad oltre i 7 milioni di fatturato.
La Ralc Italia, 13.000 mq di aree industriali tra gli stabilimenti di San Giorgio di Nogaro e Carlino, è attiva dal 1991 nella realizzazione di macchine industriali automatiche ad elevato contenuto tecnologico, specializzate nella lavorazione del tubo, lamiera e filo. Esporta in 60 paesi al mondo, con 40 addetti e un fatturato di oltre 6 milioni.
«Ci attendavamo una crescita nel 2022 – spiega l’imprenditore Andrea Lazzarini –. C’erano buone prospettive di crescita post covid, questa guerra sta creando grossi problemi per costo dell’energia e carenza di materie prima». Tra i clienti della Ralc Italia c’erano anche le Ferrovie dello Stato russo.
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