La metamorfosi digitale delle sale Cec

Centrale e Visionario montano il sistema più avanzato. Una no stop di 24 ore per salutare la pellicola

Il carretto passava e quell’uomo gridava: «Datemi le vostre pellicole, i vostri fuori fuoco e i vostri fuori quadro, il vostro audio imperfetto, le giunte, le mascherine, i proiettori, i riccioli, il catozzo, il riavvolgitore. Terrò caro tutto questo, ma ormai è cosa mia, da robivecchi». Già. La pizza. Riposerà negli archivi.

Il cinematografo sta pedonalizzando la seconda fase della revolution, il digitale colto, diciamo, ancora un passo verso il perfetto. Ma siamo a un niente. Non è affare fresco di oggi, i multiplex si dotarono del sistema DCP (Digital cinema package) mesi e mesi fa; le sale single, i little multisala e i d’essai affrontano la prima stagione senza il bobinone, ed è - a suo modo - uno dei tanti passi epocali dell’arte, dopo il colore (1902, si tratta di una recente scoperta) e il sonoro (1927).

Una rinfrescata determinante l’hanno subìta pure gli schermi, con la netta riduzione dei fori, da micro a nano. Pulizia, molta più pulizia, nessuna sbavatura.

Alla sala in difesa strenua di un certo prodotto cinefilo - e per quanto riguarda Udine rientrano perfettamente nel pensiero Visionario e Centrale - si è imposta la metamorfosi, per nulla corrispondente allo spirito agée delle operazioni usuali di ripescaggio di un certo sommerso o di conoscenza di generi più cult che popolari. Però... Sabrina Baracetti, Thomas Bertacche e Marco Villotta del Cec se ne stanno seduti nella loro sede di via Villata a pochi metri dagli ultimi scatoloni riempiti di bobine. A fianco, una borsa di plastica rigida con gli hard drive. Nonni e nipoti.

«Non sarà taglio netto - spiega Bertacche - il film su pellicola continuerà a girare. Nelle nostre cabine avremo il doppio sistema e questo per non trascurare una ancora sostanziosa raccolta. Certo, vedi in digitale e ti cambia il mondo. Ah, tra l’altro noi, arrivando in ritardo, ci ritroviamo a montare l’ultima generazione. Svantaggiati prima, avvantaggiati adesso».

Si maneggiano parole e non sempre si agguanta il significato. Togliamo veli superflui. Il proiezionista seguirà procedure diverse, ovvero? «Il file, dall’hard drive, sarà scaricato in un server», spiega Marco Villotta, presidente del Centro per le Arti Visive. «Giusto il tempo del download e il gioco è fatto. Si pigia il bottone e il film parte. L’alternativa è riceverlo via satellite. Quindi lo si sblocca con una chiave speciale, la KDM. Pro e contro. Allora, in caso di guasto - i più comuni, ma sempre quelli di solito - con la pellicola te la cavi da solo, col digitale non è così automatico. Se non risolvi, salta la proiezione, poche storie».

Tutto, ragazzi, è un’utopia. Il difetto, da qualche parte, non ce lo leva nessuno. «Un altro “a favore” è l’evitare il trasporto della merce da un cinema all’altro col furgone; ti metti in tasca l’aggeggio e fai quattro passi».

Al Centrale di via Poscolle la stagione è già in marcia. In Another Country del coreano Hong Sang-soo con Isabelle Huppert ha innescato l’era nuova; il Visionario è ai box per lifting; riaprirà il 28. Aggiunge Sabrina: «Interessante è la doppia opzione ora possibile: versione come mamma l’ha fatta con sottotitoli oppure doppiata. Stiamo ragionando di dedicare il lunedì solamente agli originali». C’è dell’altro: un ancora non definito addio («meglio dire arrivederci») alla celluloide, ovvero una non stop di ventiquatt’ore dedicata a ciò che vedremo sempre meno. «In Asia - è sempre l’esperta Baracetti a parlare - sono andati meno morbidi. Da un giorno all’altro, zac. Via una, dentro l’altro».

Dunque, la seratona del commiato in simbiosi con la Cineteca. «La data è da scegliere. L’idea, invece, è pronta. Vorremmo fare alcuni curiosi taglia e incolla. Inserire in certi film che sceglieremo, scene porno, così, a caso». La modernità non sempre ti dà, a volte toglie le piccole soddisfazioni.

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