La ragioniera di Godo macina i cereali nel mulino di casa

Elena Scagnetto di Buja è l’unica mugnaia: «Qui conservo i ricordi della mia infanzia»

UDINE. Nel mulino è cresciuta. Lì dentro ci sono tutti i ricordi della sua infanzia. I mille giochi di bambina, dopo l’asilo. Allora era nonna Caterina ad accudirla, mentre mamma e papà erano al lavoro. E su quei sacchi di farina – che oggi maneggia con disinvoltura – si è addormentata più volte.

Quello che era il mondo di “none Rine”, e prima ancora – erano gli anni Venti del 1900 – del bisnonno Andrea Papinutto-“Dree il mulinâr”, e dal 1993 al 2005 di papà Giorgio, oggi è il mondo di Elena Scagnetto, classe 1974, probabilmente l’unica donna mugnaia della regione.



È lei la titolare del Mulino di Godo di Gemona, a due passi dalla roggia chiamata “dei 7 mulini” – tanti erano in passato gli impianti lungo il corso d’acqua, partendo da Ospedaletto –, la stessa che ha azionato il mulino in pietra del bisnonno completamente distrutto dal terremoto del 1976.

Caterina lo ha sostituito con un mulino meccanico «di seconda mano», mentre oggi la macina avviene grazie a un macchinario elettrico a cilindri. Da 13 anni lo guida Elena, orgogliosissima di non aver interrotto la centenaria tradizione di famiglia.

«All’inizio – ammette –, non è stato facile». E la decisione di prendere l’attività sulle sue spalle è nata quasi per caso. «Cercavo lavoro – spiega –; ho spedito centinaia di curriculum, ma niente. Nel frattempo facevo la cameriera perché stare in mezzo alla gente mi è sempre piaciuto».

Insomma, aveva già deciso che il diploma di ragioniera lo avrebbe accantonato per sempre, «perché seduta in un ufficio proprio non mi ci vedevo».

La svolta quando per papà Giorgio – che a suo tempo aveva lasciato il posto da operaio alla Pittini di Rivoli di Osoppo per prendere le redini del mulino fino ad allora gestito dalla madre – è arrivato il momento della pensione.

«È stato allora che è scattato qualcosa in me. D’altra parte perché cercare lavoro se l’impiego l’avevo già in casa? E poi non volevo essere io a interrompere la storia iniziata a scrivere dal bisnonno, anche se – ammette a malincuore – alla fine sarà proprio così, perché non ho figli».

All’inizio Elena, che abita a Buja, ha affiancato il padre andando a bottega a imparare i segreti di quel mestiere che da 100 anni accomuna la sua famiglia al rumore ininterrotto della macina. «Papà mi ha insegnato molto e molto l’ho dovuto imparare da me».

Perché, nonostante il precedente di nonna Caterina, «ancora oggi una donna che fa la mugnaia suscita qualche diffidenza».

All’inizio molte di più: «Quando al mulino entravano i clienti e vedevano me, mi dicevano “passo più tardi, quando c’è tuo padre”. Più di una volta ho pensato di lasciar perdere e fare altro. Poi ho capito che il rispetto si guadagna sul campo».

E oggi, lo racconta sorridendo, «quando al mulino c’è papà e io sono fuori per commissioni, lo salutano e dicono che passeranno più tardi, “quando c’è Elena”».

Una bella soddisfazione «perché per la gente il mio resta un lavoro da uomini». Ma lei ogni giorno dimostra il contrario, destreggiandosi tra la molitura dei cereali, la conservazione delle farine e tutti quei pesantissimi sacchi da spostare.

«Anche sollevare correttamente i pesi si può imparare. Non ho mai mal di schiena. Una sola volta: avevo iniziato ad andare in palestra!»

Così adesso l’unica palestra che conosce è il suo mulino. Dove entrano anche le scolaresche per vedere la mugnaia all’opera (che nei disegni dei bimbi della scuola dell’infanzia di Piovega appesi in bottega indossa un vestito da fatina). Dove il via vai dei clienti è continuo.

Le richieste vanno dalla farina per polenta (quella gialla nasce dal mais che Elena acquista nel gemonese, mentre la bianca da prodotto coltivato nello Spilimberghese) o per panificazione, alle miscele destinate alla zootecnia.

«Mia nonna vendeva soprattutto mangimi per mucche e maiali, oggi quasi nessuno li alleva in proprio e la richiesta è limitata ad alimenti per galline, polli, conigli e uccellini».

Anche l’orario di apertura del mulino, dal lunedì al sabato, dalle 8 alle 12.30, è cambiato rispetto a quando c’era Caterina che non chiudeva mai. Erano altri tempi.

Anche se, afferma Elena che fa parte del progetto fotografico in cammino “Dentro le botteghe, oltre i mestieri” dei fotografi udinesi Antonella Oliana e Angelo Salvin, presente anche su Facebook –, negli ultimi anni «c’è una maggiore consapevolezza e voglia di cibi sani. Per esempio, molte persone si fanno il pane in casa e la farina la vengono a comperare al mulino».

Un mulino dove accanto agli attrezzi del mestiere – rimasti gli stessi costruiti da nonno Fortunato (che dava sempre una mano alla moglie, pur lavorando come operaio anche lui alla Pittini) e dal papà (sempre pronto a intervenire quando c’è qualcosa di meccanico che non va nell’impianto) –, trovano spazio anche nuovi progetti.

Come “Macino”, sottotitolo “Produrre, mangiare e pensare può diventare un gesto ecologico” (www.macino.net), filiera ideata dallo chef Roberto Franzin dentro al quale Elena ci si è buttata a capofitto. «Perché condivido appieno la filosofia del recupero di sostanze nutrienti che altrimenti sarebbero gettate via».

Per ora non si butta la vinaccia di Ribolla gialla messa a disposizione dall’Associazione produttori ribolla di Oslavia e nemmeno gli scarti della lavorazione delle mele, forniti da “Borgo delle mele” di Costa Beorchia a Pinzano.

La prima diventa parte integrante delle farine tipo “00”, di “Mais rosso friulano” e tipo “0”. E pure tagliatelle e tagliolini, proposti nella variante con le mele, realizzati dal pastificio “Sapori di casa” di Sequals.

Il prodotto destinato allo scarto, grazie a Elena e a una lavorazione artigianale, diventa una prelibatezza che ha già conquistato non solo i palati della regione e pure della zona di Bolzano, ma ha anche affascinato clientela in Belgio e persino in Giappone, mentre a breve farine e pasta saranno spedite a Barcellona.

Un risultato niente male che avrebbe reso orgogliosa anche nonna Caterina. Ai suoi tempi le farine non si spedivano nel mondo, ma il mondo poteva entrava da lei perché la porta del suo mulino non veniva mai chiusa. E chi voleva farsi la polenta poteva passare a qualsiasi ora.

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