La “regina” del ricamo lascia il segno nel mondo

L’udinese Antonietta Monzo ha lavorato per Papi e capi di Stato

La voce calma e chiara, gli occhi vivaci, le mani agili e sicure. Gli anni per lei sembrano non voler passare mai. Il segreto della vitalità senza tempo di Antonietta Monzo - classe 1931 - è uno solo, il ricamo. Un hobby, quando da piccina sua mamma le insegnava le prime tecniche di cucito; un mestiere, negli anni ’50, quando decise di aprire il suo laboratorio per realizzare corredi su richiesta. Una passione pura, oggi, dopo anni d’insegnamento, libri e riconoscimenti in Italia e all’estero.

«Non mi è mai interessata la fama, l’unica cosa importante per me era trasmettere l’amore per quest’arte», chiarisce Antonietta, fresca di diploma di benemerenza consegnatole per mano del sindaco, Furio Honsell. La sua storia, però, vale un libro. Maneggia per la prima volta ago e filo con la mamma, da bambina. «Era un passatempo che, in famiglia, si tramandava da generazioni. Mi piaceva e con il tempo mi sono appassionata sempre di più» ricorda Antonietta. A 16 anni, dalle suore di Ivrea, impara tutte le tecniche di ricamo, abilità che le sarebbero tornate utili in futuro. «Appena maggiorenne e rientrata in Friuli, decisi di aprire un “laboratorio” - a casa mia - dove preparavo lavoretti e corredi per le signore di Udine» racconta.

Poi, giovanissima, il matrimonio con il pittore Toni Menossi (morto nel 1967), e due figli (Massimiliana e Giandomenico), che la “impegnano” nel ruolo di mamma e moglie. «Non potevo vivere di solo ricamo. Ho lavorato come segreteria a scuola, prima a Buttrio e poi al Ceconi». Fino alla pensione, quando decise di far uscire l’arte del ricamo dallo stereotipo dell’”antico”, doveva essere insegnata e fatta conoscere. «Era il 1987, io e mia sorella Annamaria (17 anni in meno), aprimmo la Scuola ricami & legami (chiusa 7 anni fa) - spiega Antonietta -. Facevamo tre corsi al giorno a donne di tutte le età. Realizzavano tende, tovaglie, cuscini. Il risultato finale erano vere e proprie opere d'arte. L’obiettivo, poi, era anche quello di preparare futuri insegnanti». Le cose vanno proprio come le aveva immaginate. «Molte delle signore che hanno seguito i corsi - afferma orgogliosa - hanno aperto scuole a loro volta, in Friuli e fuori». Le sue lezioni di ricamo, infatti, hanno fatto tappa in molte città italiane, da Ragusa a Genova, da Torino a Genova. A Novara, mentre Antonietta insegnava questa espressione artistica un po’ demodé in città, Annamaria faceva lo stesso all’interno del carcere. Per le due sorelle, fare del bene, era diventata una specie di missione. Antonietta è una continua fonte di idee. «Ho deciso di scrivere dei libri sulle tecniche di ricamo, da quelle base a quelle antiche, introducendo il punto Aquileia, un punto nuovo che riproduce i mosaici della famosa città. Un successo incredibile. Sono venute a trovarmi addirittura appassionate di cucito dal Giappone…» svela divertita la “maestra”. Tra le cose che potrà raccontare i lavori fatti per i Papi, Giovanni Paolo II, Ratzinger e Francesco, e quelli per due Capi di Stato, Ciampi e Napolitano.

Amore per il proprio lavoro e per il prossimo, un binomio che è più volte sfociato in iniziative benefiche a favore delle persone in difficoltà. «Per molti anni i manufatti realizzati dalle signore che venivano a Scuola sono stati messi all’asta. Il ricavato - diversi milioni di lire, ai tempi - sono stati donati all’associazione Malattie del sangue dell’allora policlinico universitario», ricorda Antonietta. Il ricamo, per lei, «è una terapia. Le ore che passo con le signore a ricamare sono momenti di condivisione, sfogo, conforto. - confessa -. Il ricamo stimola la creatività, libera la fantasia».

Antonietta non potrebbe fare a meno di quelle amiche, della passione che le lega, dell’energia che c’è quando gioca con i punti sul telaio. In una immagine, il suo mondo: lei e alcune ragazzine, avranno si e no 10 anni, sorridono, intente a “disegnare” sulla stoffa. «Ecco il futuro. Che senso ha tenere un amore per sé, quando lo puoi regalare agli altri?» conclude.

Margherita Terasso

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