La rivolta della Carnia: l'acqua resti ai Comuni

Cercivento, Ligosullo e Forni Avoltri: con noi anche i comitati di altri paesi. «La Regione ci coonceda l'autodeterminazione nella gestione di questa risorsa».

CERCIVENTO. Dario De Alti è sindaco di Cercivento. È al terzo mandato. È stato il primo sindaco di Fi in Friuli. Preistoria, oggi. Oggi si definisce il sindaco della Stalingrado della Carnia, tradito dal goveno amico («non abbiamo più un euro di contributi: Tondo ci sta boicottando»). Dice di stare con la gente. Quella che i partiti snobbano, non ascoltano, bypassano. De Alti, con i colleghi di Forni Avoltri e Ligosullo, ha detto “no” a Carniacque spa perchè – spiega – voleva strapparci la gestione dell’acqua quando dopo la legge Galli e l’avvio delle Ato è stato creato un unico gestore. De Alti e gli altri due sindaci, dopo avere ottenuto un plebiscito da parte delle loro popolazioni, si sono rifiutati di accettare quello che ritengono un “diktat”.

«Anche perché – precisa lo stesso De Alti – i Comuni che hanno “dovuto” aderire a Carniacque spa si sono visti come minimo triplicare le bollette. Noi no. Perché l’unica vera ricchezza della Carnia è l’acqua». E l’acqua – gli fa eco Franceschino Barazzutti, presidente del Comitato per la tutela delle acque del bacino montano – in Carnia significa democrazia e partecipazione». Prima delle Ato e della costituzione di Carniacque spa, cui peraltro hanno aderito tutti gli altri Comuni della Carnia («ma sono già in molti a essersi pentiti», assicura De Alti), per i Comuni – spiega Paolo Ceconi, ex tecnico comunale – l’acqua era il primo introito, più dell’Ici, la manutenzione era assicurata dagli operai comunali, le tariffe erano basse e la rete non aveva problemi.

Già, in Carnia ogni Comune ha e aveva la sua rete, le sue condutture. Acqua in abbondanza per tutti. In Carnia nessuno ha atteso i “sorestans” di turno per farsi gli acquedotti. «Ipotizzare, com’è accaduto per Carniacque spa – afferma ancora Barazzutti – una gestione centralizzata dell’acqua in questo territorio è una follia. Ma ve lo vedete un tecnico che deve riparare un guasto e che in pieno inverno parte da Tolmezzo per arrivare a Sauris o in qualche sperduta frazione di montagna? Qui c’è un territorio enorme con una conformazione orografica micidiale, poca popolazione sparsa sul territorio, pochi utenti e quindi bassi ricavi. Insomma, una “baracca” centralizzata come Carniacque non sta in piedi».

Quando la spa è nata, era stato assicurato che ogni anno i Comuni avrebbero avuto il 30 per cento. Peccato – dicono in coro – che il primo anno Carniacque sia andata in passivo di decine e decine di migliaia di euro così la Regione è corsa ai ripari e ha chiesto ai Comuni di rinunciare a quel 30%. Cercivento, Ligosullo e Forni Avoltri, i Comuni “ribelli” si sono rivolti al Tribunale superiore delle acque. De Alti fa notare che «Carniacque o prima l’Ato non hanno alcun diritto di imporre il trasferimento degli acquedotti comunali. La nostra decisione di autonomia è stata decisa all’unanimità dai consigli comunali. Evidentemente le amministrative e i referendum non hanno insegnato nulla. Io sono il sindaco della gente, eletto dalla gente, mentre il presidente dell’Ato è stato eletto dai partiti. Per sconfessare la nostra scelta serve un organo istituzionale elettivo superiore al Comune: Provincia o Regione».

E proprio alla Regione, dopo la soppressione delle Ato, i Comuni “ribelli” chiedono un atto di coraggio e una norma che stabilisca l’autodeterminazione dei Comuni in fatto di gestione dell’acqua, come avviene in Trentino. «I Comitati si moltiplicano anche nei Comuni aderenti a Carniacque, la gente non ne può più delle imposizioni partitiche. Serve un segnale rispettando l’esito dei referendum», chiosa De Alti.

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