La Slovenia dice no a muri sul confine

TRIESTE. La Slovenia boccia le barriere anti migranti proposte dal governatore Massimiliano Fedriga. I toni sono quelli cortesi della diplomazia, ma le parole del presidente della Repubblica slovena Borut Pahor sono ferme.
«Ho incontrato Fedriga – ha dichiarato Pahor a Trieste alla fine della commemorazione dell’incendio del Narodni Dom – al quale ho detto che due paesi vicini, due paesi europei che sono entrambi aderenti a Schengen non debbono adottare ulteriori misure per rafforzare il pattugliamento dei confini».
Il capo di Stato sloveno ha risposto così alla domanda dei giornalisti sulla necessità di forme di contenimento fisico sul confine italo-sloveno e sull’ipotizzata sospensione di Schengen, dopo che Fedriga nei giorni scorsi aveva indicato nella frontiera del Carso triestino un’area sensibile che, come ultima ratio, potrebbe vedere la realizzazione di barriere che costringano i migranti della rotta balcanica a entrare in Italia in punti precisi, facilitando le operazioni di controllo ed evitando che cittadini stranieri possano entrare in Italia senza essere identificati.
Pahor non smonta le forme di collaborazione messe in campo sul fronte della sicurezza per iniziativa del vicepremier Matteo Salvini e dello stesso Fedriga. Secondo l’esponente socialdemocratico sloveno, infatti, «le pattuglie miste introdotte di recente sono un buono strumento e non incidono sugli ottimi rapporti di vicinato e comprensione che rappresentano i nostri rapporti bilaterali».
I muri però sono un’altra cosa. Pahor non li cita, ma il messaggio è chiaro: «Riteniamo che altre misure non siano necessarie e opportune», visto che «possono ostacolare la libera circolazione delle persone su questo territorio. È ovvio che le immigrazioni, soprattutto illegali, devono essere organizzate: il governo sloveno adotterà misure in tal senso, ma abbiamo convenuto che al di là delle pattuglie e il ricorso a tecnologie digitali non dovremmo introdurre ulteriori misure».
Il riferimento è all’incontro riservato avuto in mattinata con il governatore della regione. Un dialogo di un quarto d’ora, che l’entourage di Fedriga definisce improntato alla cordialità, in cui il presidente della Regione ha chiarito che l’idea del muro rappresenta l’ultima ipotesi. Frasi pronunciate per rassicurare l’interlocutore, che tuttavia non ha potuto fare a meno di rappresentare la propria preoccupazione per i toni con cui il Carroccio promuove le proprie posizioni sul tema.
Pahor era a Trieste per ricordare i 99 anni dall’incendio che devastò il Narodni Dom, palazzo simbolo dell’ascesa socioeconomica della comunità slovena della città, dato alle fiamme da manifestanti nazionalisti e squadristi nel 1920, in quello che viene considerato dalla storiografia come il salto di qualità del nascente fascismo di confine.
Un tempo fortunatamente lontano, tanto da permettere a Pahor di auspicare che sulla gestione dei flussi migratori Italia e Slovenia dovranno «lavorare sulla fiducia reciproca, che poggia su ottime basi». Sulla stessa linea si pone Fedriga, che evita di parlare del dissidio sul muro, preferendo concentrarsi sugli aspetti positivi dell’incontro: «Il Fvg ritiene essenziale potenziare le relazioni con la vicina Repubblica di Slovenia, a iniziare dalla lotta all’immigrazione illegale».
Nella nota ufficiale diramata dopo l’evento, la Regione parla di «piena convergenza sull’opportunità di mettere in campo, ove necessario, ulteriori iniziative condivise a contrasto dei flussi migratori». Formula lasciata vaga per non soffermarsi sulla differente visione sul nodo delle barriere: un fronte che per Fedriga «non riguarda solo la difesa della legalità ma anche la salvaguardia delle identità».
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