La solidarietà friulana e quella concretezza che ci rende "speciali" - Il commento

A Sarnano è stata consegnata una scuola costruita dal Friuli Venezia Giulia in tempi di record. Il nostro "piccolo" aiuto alle popolazioni colpite dal sisma dello scorso ottobre. Un abbraccio concreto, fatto di lavoro sodo ed empatia: perché noi siamo fatti così

Le chiacchiere, dalle nostre parti, hanno le gambe corte. La concretezza ci rende “speciali”, questo sì, al di là della solita retorica e della specialità fatta di parole.

Sarà quel “dna” che è stato trasmesso di generazione in generazione, quella necessità di sopravvivenza che ha fatto di un popolo e di una terra un treno con una marcia in più. Quel treno sul quale migliaia e migliaia di friulani sono saliti per andare in cerca di fortuna in giro nel mondo, scappando dalla fame.



Un treno che ha deragliato quando in Friuli si è scatenato il terremoto; un treno sul quale, volenti o nolenti, si sono accomodati tutti, stringendosi e restando anche in piedi durante il viaggio, per rimettere in moto la locomotiva subito dopo quel 6 maggio 1976.

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Potremmo abbondare in retorica, da “fasìn di bessôi” a “Il Friûl al ringrazie e nol dismentee”, all’abusata “isola felice”. Tutto vero. Frasi brevi e dal contenuto pregnante, che danno un’idea di quel che siamo anche oltre i confini.

A Sarnano, il premier Gentiloni inaugurando la scuola assieme alla presidente Debora Serracchiani ha sottolineato: «La scuola è bellissima e i bambini potranno crescere con un’ottima qualità della vita. Credo che questa inaugurazione sia un messaggio di speranza per le popolazioni colpite dai terremoti. È altrettanto importante la voglia di reazione delle comunità». È «un esempio di Italia che funziona e che traduce le sue particolarità in straordinaria forza», ha aggiunto. E ricordando il contributo del Friuli Venezia Giulia, colpito dal sisma nel ’76: «In Italia siamo affezionatissimi ai campanili, sono convinto che quando i campanili si abbracciano, e lavorano per costruire, la solidarietà è straordinaria».

Siamo anche schivi e imbarazzati di fronte a troppi complimenti. Quarantuno anni fa conoscemmo il mondo che ci tese la mano. Anche qui ci fu chi venne a costruire le prime scuole e i primi centri per anziani.

Quei gesti di aiuto, di sostegno, di partecipazione sono diventati la nostra tradizione che a ogni necessità si tramuta in atti di riconoscenza, perché conosciamo profondamente quelle sofferenze. Non siamo qui a dire che siamo meglio o peggio di altri. Siamo così, friulani. E nelle emergenze diamo il meglio di noi stessi.

Padre David Maria Turoldo, nel 1980, nel libro “Mia terra, addio...” e in particolare nel capitolo “Da tempo la terra trema” scriveva che il terremoto «ha distrutto la nostra terra e ha sepolto forse per sempre un tessuto di civiltà millenaria». Sul tema della rinascita descrisse con queste parole il suo popolo: «Una ricostruzione, per essere vera, perché sia segno di civiltà e abbia un valore, non può essere regalata.

Una cosa la si deve fare con le proprie mani, allora la si ama. Una civiltà senza amori non è più una civiltà. Importante è inserire il tutto, anche l’inevitabile caos del dopo-terremoto, dentro il grande fiume della nostra storia e sentire subito che la ricostruzione o sarà globale, e cioè o coinvolgerà avanti tutto la stessa cultura friulana, o non sarà una vera ricostruzione. Non si costruisce nulla di buono, non si fa nulla impunemente, a prescindere dalla gente».

Ecco, nell’abbraccio agli amici di Sarnano è contenuto anche questo sentimento.

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