La storia dello spadone, l’arma del patriarca Marquardo compie 651 anni

Chi va ad assistere il 6 gennaio alla messa dello spadone, in duomo a Cividale, deve sapere che l’elmo piumato sul capo del sacerdote risale al Settecento, essendo una copia dell’originale, mentre l’arma impugnata dal celebrante è proprio quella autentica del patriarca Marquardo di Randeck. Ci arriva dritta dritta dal 1366, quindi ben 651 anni fa. Sono aspetti straordinari di un mondo come il nostro dove certi riferimenti storici si perdono alle volte nell’ovvio e nell’indifferenza. Tutto sommato, invece, quello spadone dai molti significati venne forgiato 126 anni prima della scoperta dell’America. Il gesto si rinnova tale e quale da allora.
Il primo a compierlo fu il patriarca Marquardo, barone di Blockingen, vescovo di Augusta, un intellettuale tedesco molto colto, giurista sopraffino, inviato (su caldo suggerimento dell’imperatore Carlo IV) a garantire pace e stabilità politica a territori complessi e insanguinati, che poco tempo prima avevano subìto come assoluto sfregio l’assassinio di Bertrando di San Genesio, il francese che Udine onora come il vero patrono, essendo stato colui che mise le basi concrete per farne una città. E che finì vittima dei suoi avversari, che lui aveva combattuto con le armi e con la fede.
Tempi da medioevo truce in Friuli anche per la guerra civile che oppose a lungo Udine e Cividale. Come ricordava Elio Bartolini in un bellissimo testo, la lotta fra le due città conobbe gesti di un’orrenda, sistematica ferocia da una parte e dall’altra, ma la più grave conseguenza fu di aver permesso a Venezia di fare, nel quadro di una generale strategia verso la terraferma, specifici e fondamentali passi di avvicinamento al Friuli, fomentando ancora di più i conflitti interni in cui Udine si schierò in modo filoveneto mentre Cividale, fedele al Papa e dunque all’imperatore, ottenne come omaggio un Concilio che però, viste le grame premesse, procedette tra il penoso e il ridicolo (giudizio ancora di Bartolini).
In un quadro così violento e impreciso, l’azione di Marquardo cercò di riportare la ragione fermando odi e contrapposizioni. Il suo periodo di governo trilustre registrò un’intensa attività riorganizzativa dello Stato e un’abile operosità diplomatica, per tenere lontana la guerra e favorire l’economia locale. Marquardo, da arguto assessore al commercio ante litteram, fu per esempio l’inventore della Fiera di Santa Caterina. Il nome dell’abile religioso e politico di origine germanica passò alla nostra storia soprattutto per aver incoraggiato il corpo di leggi in gran parte civili e procedurali che formarono il principale nucleo del diritto friulano fino alla caduta della repubblica veneziana. Il codice marquardiano si intitolò “Constitutiones Patriae Foriiulii” e venne promulgato l’11 giugno 1366, dunque nello stesso anno in cui il patriarca, accolto trionfalmente dalla gente di Cividale, inaugurò il rito dello spadone.
Le buone intenzioni non bastarono. Alla fine garantirono un lampo di serenità e un barlume di speranza a un territorio che ormai stava scivolando verso il dominio della Serenissima. Iniziò proprio così l’inverno per il Patriarcato e per l’autonomia friulana.
Grandi vicende perché, come ammoniva don Gilberto Pressacco, non siamo “un popolo di mangiapatate senza storia”. Sotto la proverbiale rusticitas, se si gratta bene, salta sempre fuori un tesoro. Basta andare nel giorno dell’Epifania in riva al Natisone. Leggendo fra la foresta di simboli proposti dalla cerimonia religiosa (come avvertì Tito Maniacco nella sua “Storia del Friuli”) si trovano certo il potere temporale e quello spirituale unificati nelle mani del patriarca, ma spunta anche una sorta di canonizzazione dei momenti della tradizione secondo cui il basso clero modificava per un giorno il meccanismo del potere curiale capovolgendo i rapporti maschio-femmina, servi-padroni, ricchi-poveri, giovani-vecchi. Ne veniva fuori un rovesciamento mascherato della prassi, per far librare quel desiderio di libertà e autonomia così necessario al carattere dei friulani. Tutto questo grazie al saggio Marquardo, l’ultimo patriarca sepolto ad Aquileia.
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