La strategia del depistaggio e il rancore verso Trifone

PORDENONE. Perché i fidanzati sono stati uccisi. Il movente secondo la Corte d’assise d’appello di Trieste potrebbe anche essere stato «il timore di Ruotolo di vedere compromessa la propria carriera, timore con ogni probabilità suggerito e alimentato dalla fidanzata, che studiando giurisprudenza aveva ben chiare le possibili conseguenze penali dei messaggi molesti inviati dalla caserma se denunciati e quindi le certe ripercussioni» sulla carriera di Ruotolo nella Guardia di Finanza.
I messaggi deliranti sarebbero secondo i giudici un espediente per addossare la colpa a Mariarosaria dei messaggi molesti e ottenere il perdono. Ma a monte, secondo la Corte d’assise d’appello, c’è il «forte rancore che Ruotolo nutriva verso Ragone ma in generale verso la coppia».
Ragione che «ha finito per prevalere su ogni più ragionevole rimedio, rendendo l’intento omicidiario più pressante, se non addirittura provocandolo». I giudici hanno stigmatizzato poi «la strategia accurata, insidiosa e anche efficace di inquinamento probatorio (...) attuata intenzionalmente sin dall’immediatezza del duplice delitto»: la pistola lanciata nel lago del parco, la tuta indossata per l’occasione mai ritrovata, il preconfezionamento dell’alibi, la «subdola azione di persuasione di testi essenziali» come i coinquilini, «nel tentativo di far sedimentare un ricordo della sera a lui favorevole e difforme dal reale», suggerendo anche in seguito «la sua buona fede» e «accreditando false giustificazioni sul suo allontamento» dal parcheggio del delitto.
I giudici hanno elencato una serie di circostanze e condotte riconducibili a Ruotolo che «risultano sovrapponibili» a quelle del killer: le indiscutibili ragioni di acceso contrasto, timore avversione», la prolungata attesa di mezz’ora a pochi metri dall’auto delle vittime senza un’alternativa ragione, la fuga repentina dal piazzale, la presenza al parco di San Valentino per gettare la pistola, senza contare la conoscenza delle abitudini dei due fidanzati, del luogo del delitto, della viabilità circostante e del parco, oltre alla capacità di usare con destrezza armi da fuoco.
La Corte d’assise ha smontano la richiesta di una perizia d’ufficio da parte della difesa: anche i pochi nuovi rilievi «risultano infondati, frutto di una lettura imparziale o errata». Ruotolo, per i giudici, era lì. Non lo dice solo il pesista Stefano Protani, che incrocia proprio l’Audi A3 con il frontalino di una Sportback, lo dimostrano le telecamere, il passaggio a 22 secondi di distanza dell’auto di Ruotolo e del runner Marcuzzo, che sente gli spari dopo aver salutato i fidanzati.
Lo dice il «rigoroso percorso logico-scientifico» seguito dagli ingegneri Paolo Reale e Giuseppe Monfreda nella consulenza tecnica che ha ricostruito la scena del crimine: Ruotolo è partito dopo gli spari, diversamente la sua auto avrebbe dovuto viaggiare a una velocità troppo bassa. I giudici hanno proposto una sola emenda alla sentenza di primo grado: la teste Caragnano è arrivata nel piazzale diversi minuti dopo il delitto, non pochi secondi dopo. Ma questo non inficia minimamente l’impianto accusatorio.
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