La sua arte è lavorare il bronzo: così trasforma il tessuto in scultura

Udine: Pietro De Tommaso, ex insegnante, ha alle spalle un passato aeronautico. Ha inventato una tecnica per “congelare” le forme della stoffa 

UDINE. Non è facile arrivare nel suo atelier-laboratorio di Godia, illuminato dalla bellezza delle montagne sullo sfondo. È a due passi dalla strada, nascosto nella tranquillità del verde. E non è affatto facile fargli raccontare un po’ di sé.

Pietro De Tommaso parlerebbe ben più volentieri di bellezza, argomento al quale ha dedicato alcune serate aperte a piccoli gruppi di amici e di sconosciuti, o forse perfino di calcio (non è un tifoso, precisa, e di questo sport, come di altri, ama in particolare il «gesto atletico»), ma alla fine svela qualcosa di quello che è stato il suo percorso di vita.

Ha studiato al “Malignani”: nel cassetto un diploma di perito aeronautico a cui ha aggiunto un brevetto di pilota d’aereo di 1° grado. Ha fatto l’insegnante per alcuni anni in varie scuole medie della provincia per poi scegliere di dedicarsi all’arte a tempo pieno.

Nei primi anni Ottanta ha fondato una scuola di teatro dal nome «Teatro Nuovo» alla quale hanno aderito molti ragazzi con cui ha sperimentato forme di «body art». In ciò gli è stata di grande aiuto la ginnastica artistica, grande passione degli anni giovanili. Fin da adolescente si è sentito attratto dalla manipolazione della materia e dall’uso dei colori.

Nato in Calabria nel 1947, in tenerissima età si è trasferito con la sua famiglia in Friuli ed ha trascorso un’infanzia che definisce «felicissima» nelle campagne di Cargnacco. Oggi si dedica esclusivamente alla scultura, seppur con ancora qualche incursione nella pittura, cercando di percorrere nuove strade. Tanto che ama definirsi uno «scultore sperimentatore».

«In cammino», instancabilmente alle ricerca di nuovi stimoli. «Non amo ripetermi», sorride. Ecco perché via via c’è stato l’incontro con materiali diversi. Gesso, legno, resina, bronzo. Da cui sono nati soggetti d’ogni tipo.

C’è stato il tempo degli animali e quello delle donne, ricorrenti nella pittura («ma quando dipingo ho sempre la scultura nel cuore») e anche nei bassorilievi. In questo caso, racconta, l’ispirazione non è stata altro che tradurre i ricordi d’infanzia.

«Nel mio paese le donne si agghindavano a festa quando dovevano prendere la corriera per spostarsi». Donne piene di vita. E di vissuto. «Dalla forte fisicità». Così Pietro le ha volute rappresentare. «Le persone semplici mi affascinano. Sono i soggetti che prediligo, da sempre».

Insieme a quanto è natura. «Sono un traduttore sensoriale. Cammino, tocco, guardo, annuso. Vado in sintonia con ciò che ho attorno. Poi metto insieme il tutto, che altro non è che il mio vissuto».

Così sono nati dal legno enormi soli, coloratissimi. «Costruiti lentamente, giocosamente, quasi quasi per divertire me». Poi c’è stato il periodo delle sfere e delle teste. Quindi una serie di sculture bronzee dedicate esclusivamente allo sport. Ama la bici, Pietro. Con la compagna di vita Patrizia ha macinato chilometri lungo le piste ciclabili di mezza Europa. Esperienze diventate anche soggetto di alcune opere.

Il bronzo – talune volte poi dipinto a mano – è il materiale prediletto che tra le sue mani diventa scultura. Con la particolare tecnica della fusione a cera persa. Nella piccola fonderia d’arte di casa. «Auto-costruita».

Quando si ritira nel regno che si è creato, dal bronzo «escono» calciatori, ginnasti, pugili e lottatori. A cui Pietro imprime magistralmente il movimento. E nella materia del ciclista caduto riesce persino a condensare tutta la sofferenza – dell’atleta e dell’uomo – per l’impossibilità di raggiungere il traguardo. Poi c’è l’equilibrista: sta per fare un passo nel vuoto.

Quel «vuoto» per Pietro altro non è che «il coraggio di affrontare sempre nuove sfide». Opere uniche quelle che firma, apprezzate in ogni dove. Protagoniste di esposizioni sia in Italia (una di queste, nei primi anni Settanta, anche nel «suo» Malignani), che all’estero. Oggi, sculture e dipinti sono presenti in varie collezioni private.

Instancabile ricercatore di nuove suggestioni, attualmente Pietro è alle prese con la stoffa. O per meglio dire: con la stoffa che si fa bronzo. Non si può non rimanere a bocca aperta davanti a quel paio di jeans ammucchiato e consunto dall’uso, con tanto di bottoni, strappi e cerniera.

E nemmeno di fronte a quei guanti di lana appena sfilati dalle mani e abbandonati su un piano. E di quel fazzoletto con i nodi ai vertici trasformato in un copricapo – come si faceva un tempo –, se ne percepisce tutta la morbidezza. Lo stesso accade quando si ammirano veli, manti e canottiere.

«Tutto è nato da un’osservazione casuale», dice. «Stavo guardando un paio di guanti appoggiato su un mobile. E ho visto la bellezza nella casualità». L’intuito e l’abilità dello scultore-fonditore hanno fatto il resto. E la stoffa è stata fusa nel bronzo con tale maestria da mantenerne integri i drappeggi, la trama e ogni singolo particolare.

Ovviamente restano top secret i passaggi della lavorazione, sempre caratterizzata dalla cura estrema dei dettagli. Si sa solo che anche in questo caso «il bronzo si è preso ciò che prima era tessuto».

Attualmente queste opere d’arte si possono ammirare, insieme a quelle nate da passate sperimentazioni, nel suo atelier di via Pradattimis. Fino a qualche anno fa erano esposte nella personale galleria che aveva aperto in centro a Udine.

Qualcuno però, la passata estate, ha già avuto la fortuna di poterle toccare con mano al ristorante «Agli Amici» di Godia, quando il pluristellato chef Emanuele Scarello lo ha voluto nel contesto degli «eventi 130», promossi per festeggiare il compleanno ultracentenario dell’attività. Una serata piena di emozioni.

Che il Comune di Udine, per tramite del suo assessore alla Cultura Fabrizio Cigolot, vuole in qualche modo «replicare».

Portando in città, in autunno, l’artista che trasforma la stoffa in bronzo. Con una mostra a lui dedicata. Per la quale Pietro sta già lavorando. Tra una pedalata e una passeggiata sulle colline friulane. Dove spesso va a ricaricarsi lo scultore che non ama affatto essere definito un artista.

È convinto, infatti, di non fare nulla di speciale. «Sono una persona normalissima», precisa più volte, mentre si racconta.

«Che ama appartarsi nella natura, entrare in sintonia con il cosmo e percorrere una strada che sente già dentro di sé e che forse è lì dalla notte dei tempi. Se poi riesco a trasmettere delle emozioni ben venga».

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