La tipografia Sartor “in pensione” Il futuro si chiama Ciemme Prata

“Il dottor Carlo”, alla soglia degli 80 , ha deciso di cedere l’attività e godersi il meritato riposo «Una scelta sofferta» per chi ha segnato la crescita dell’editoria e della cultura in provincia 

l’intervista

cristina savi

La fine del 2019 segna per Pordenone il passaggio di mano di un’azienda la cui assenza lascerà un vuoto difficilmente colmabile, testimone e protagonista dello sviluppo culturale della città e dei suoi cambiamenti: la Tipografia Sartor. Che da gennaio 2020, anno del suo 50° compleanno, confluirà nel gruppo Arti Grafiche Ciemme di Prata, con i suoi dipendenti. Una decisione sofferta ma assunta con serenità dal “patron” Carlo insieme alla famiglia, perno di una vita intensa, vissuta avendo come faro i valori morali e umani. «Sono stati i miei tre figli a convincermi a lasciare adesso», confessa, complici gli 80 anni in arrivo e l’imminente seconda maternità di Anna, colonna portante dell’azienda, che ha scelto di prendersi un po’di tempo per sé e la famiglia.

Un “vizio” di famiglia, quello dei Sartor per l’attività tipografica (e per la cultura), anche se Carlo si sarebbe dedicato volentieri alla statistica, la sua passione, oggetto della tesi di laurea in economia, conseguita a 23 anni alla Cattolica di Milano. Ma papà aveva altri piani per lui. . . Quel Giovanni Sartor che durante la prima guerra mondiale era il garzone della tipografia Savio e che negli anni del secondo conflitto coronò un suo sogno, lavorando a Udine per “Il Popolo del Friuli”, «Impaginava la terza, la pagina della cultura e lì – racconta Carlo – incontrò un giovane linotipista di Domanins, Elio Franceschina. Alla fine del’45 lasciarono il giornale e fondarono a Udine la tipografia Aldo Manuzio». Erano gli anni del mito dell’emigrazione in Argentina: Franceschina partì, per poi tornare quando la stella di Peron si oscurò. Era molto legato a Giovanni, ricominciarono insieme, di lì a poco sarebbe iniziato il grande sviluppo della Zanussi, che determinò un notevole aumento di lavoro, cresciuto in modo esponenziale negli anni’60. Tanto che nel 1963 Giovanni Sartor prese anche in affitto la Tipografia Doretti di Udine, affidandola al figlio minore Giorgio.

Nel 1964, tre giorni dopo la laurea, Carlo è già in azienda, a Udine. «Stampavano per la Filologica Friulana come per i grandi protagonisti dell’arte italiana (Getulio Aviani, per citarne uno). E attorno a noi gravitava tutto il mondo letterario friulano: Sgorlon, Giacomini, Bartolini...Anni irripetibili! » Nel 1968 inizia la costruzione della Tipografia di Pordenone, in via Nuova di Corva, aperta nel settembre 1970. Carlo lascia con rammarico Udine, «che dal punto di vista culturale era su un altro pianeta, ma qui c’era la Zanussi che ci garantiva l’80 per cento del lavoro». Inoltre, già da tempo Sartor ha fra i suoi clienti la Casa dello Studente e la rassegna di prosa, oltre che la rivista degli studenti pordenonesi “Il marchio”. Parallelamente alla discesa e al lento abbandono della Zanussi, la Tipografia si specializza sempre più nel settore della cultura.

«Lavoravamo per la Fiera, poi i primi cataloghi per Cinemazero, il Cinema muto, l’Associazione per la prosa, Dedica, la Biblioteca dell’Immagine». In quegli anni i dipendenti arrivarono a 24. Nel 1990 la seconda novità (dopo la nascita della Casa dello studente) che secondo Sartor determinò una svolta nell’offerta culturale a Pordenone: Editexpo, la fiera dell’editoria che fu l’incubatrice di Pordenonelegge. Fra i clienti affezionati la Tipografa conterà anche la Libreria editrice goriziana, il teatro di Pordenone, il Comune, la biblioteca civica, le gallerie d’arte Teardo e Tarozzi, Pordenonelegge. «Ma anche i grandi eventi musicali» aggiunge Sartor, che sorride divertito «ripensando a tutto il gruppo del Rototom», all’occupazione dell’ex Cerit, al Deposito Giordani. Un elenco che sottolinea il profilo di una città «piena di iniziative, ormai mature, ora forse un po’irrigidita, un po’troppo schematica, a discapito della freschezza che è linfa della creatività».

Mancherà a tutti, la Tipografia Sartor, mancherà il “dottor Carlo” e la sua generosità, associata a una nota e ammirevole vocazione al mecenatismo (declinata anche nello sport, con il sostegno alla pallacanestro pordenonese nei suoi anni d’oro e alla pallavolo femminile). La sua più grande soddisfazione? «Avere mantenuto legami per tanti anni con tutti i miei clienti». Il rimpianto? «Forse non aver innestato l’ultima marcia, quella che avrebbe fatto fare un salto all’azienda, ma del resto mi sono compiaciuto di vivere in questa dimensione, in cui i rapporti sono caratterizzati anche dal rispetto reciproco e dall’amicizia». —



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