La tragedia di Dacca: un cuore rosso e un fiorellino per salutare papà Cristian - Foto e Video

Sulla bara il disegno delle bimbe dell’imprenditore ucciso. L’arcivescovo Mazzocato: è stato crocifisso come Gesù

Un cuore rosso e un fiorellino stilizzato per salutare con un ti amo quello che per loro era “il paparone camomillo”. Il disegno delle gemelline di tre anni, figlie di Cristian Rossi, era appiccicato con lo scotch sulla bara di legno chiaro.

E’ forse questa l’immagine più toccante della cerimonia d’addio all’imprenditore di 47 anni trucidato venerdì primo luglio nell’agguato dei terroristi dell’Is nel ristorante del centro di Dacca, in Bangladesh, dove hanno perso la vita altri 8 connazionali e 22 persone in tutto.

Un funerale in una Feletto blindata, quasi protetta da un cordone di volontari della protezione civile, alpini e polizia locale, sotto una cappa di caldo appiccicoso e un cielo imbronciato, al quale hanno partecipato centinaia di cittadini.

Una commozione palpabile, straziante il dolore dei parenti più stretti, la moglie Stefania, sorretta dai congiunti, le tre sorelle di Rossi, i tanti nipoti che poi, dal pulpito, hanno ricordato la figura di quello zio giramondo sempre con il sorriso sulle labbra e mille storie avventurose in saccoccia.

Nell’attesa del carro funebre, arrivato dal municipio di Tavagnacco, dopo la chiusura della camera ardente, la folla si era radunata davanti alla chiesa di Sant’Antonio abate. Tra la gente una trentina di sindaci, la presidente della Regione Debora Serracchiani, senatori, deputati, consiglieri regionali e tanti amministratori.

Due carabinieri in alta uniforme hanno portato la corona del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, i poliziotti hanno vegliato quella del presidente del Consiglio Matteo Renzi.

Ora Cristian riposa a Reana accanto alla madre
Feletto Umberto 08 Luglio 2016 commemorazione vittima terrorismo Copyright Petrussi Foto Press / Bressanutti

E poi i fiori del governo del Bangladesh (c’era il console onorario Gianalberto Scarpa Basteri), quelli del Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia e tanti mazzi di girasoli, cuscini di rose bianche, gladioli rossi e violette.

Monsignor Gherbezza e don Leschiutta hanno accolto il feretro, nel silenzio della piazza. I locali e i negozi hanno rispettato la chiusura in concomitanza del funerale, anche se in un bar vicino, l’unico rimasto aperto in zona, sono intervenuti i carabinieri per chiedere di moderare il tono di voce di alcuni avventori. In chiesa sulla bara è stata spiegata una bandiera tricolore ed è stata collocata una foto di Cristian sorridente, quella scelta dalla vedova. Ai piedi del feretro un cuscino di rose bianche a forma di croce.

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Dopo le letture dal libro di Giobbe e dal Vangelo secondo Luca, è stato l’arcivescovo di Udine monsignor Andrea Bruno Mazzocato a prendere la parola per l’omelia. Per l’arcivescovo Cristian è stato «crocifisso come Gesù, aggredito dalla stessa violenza cieca e malvagia». Dal celebrante, la cui voce in più di un’occasione si è incrinata per la commozione, nessun accenno però a contrapposizioni di matrice religiosa, ma un accorato invito alla preghiera. «Ci restano solo le parole - ha detto

il presule - che partendo dal cuore si trasformano in preghiera. Ma oggi è anche difficile far uscire parole di preghiera dai nostri cuori sconcertati e increduli di fronte a tanto male. Solo la preghiera può raggiungere

il nostro Cristian ed è l’ultimo dono e l’ultimo aiuto che possiamo e vogliamo offrirgli. Cristian ha conosciuto, vittima di una violenza cieca e malvagia, la stessa angoscia che ha provato il Signore sulla croce. Era un uomo con un cuore profondamente buono, solare e generoso, innamorato della sua Stefania, affettuosissimo con le bambine e desideroso di portare un po’ di benessere a un popolo meno fortunato. Questa è l’ora di un oscuro dolore, dobbiamo opporci con coraggio a ogni forma di male».

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Di qui la preghiera a Gesù a prendere con sé l’imprenditore morto a Dacca e ad avvolgerlo «nella tua eterna consolazione», a sostenere «con le tue mani delicate e misericordiose il cuore straziato di Stefania, i piccoli cuori innocenti delle gemelline, gli animi sconvolti del papà, delle sorelle, dei nipoti, di tutti i parenti». E infine l’invocazione: «Liberaci dal male. E in quest’ora di oscuro dolore risveglia in noi il desiderio e la volontà di unirci di più a te e tra di noi per opporci con coraggio ad ogni forma di male. Tieni viva in noi la fiammella della speranza che per quanto sia potente il maligno non avrà l’ultima parola; ma l’avrà l’amore tuo».

Quindi, al termine della messa hanno parlato due nipoti di Rossi in rappresentanza di tutti gli altri, Elena, Emanuele, Francesca, Tiziano, Elisa, Mattia, Luca, Simone e Nicola, figli delle sorelle dell’uomo. «Caro zio ricordiamo il tuo ottimismo e la tua gioia di vivere - hanno detto dal pulpito -. Sei cresciuto con noi, hai tanto aspettato il nostro arrivo e già all’età di nove anni hai iniziato a “vedere di noi”, crescendo con noi.

E per questo ci siamo sempre sentiti capiti, e poi è toccato a noi aspettarti a braccia aperte dai tuoi innumerevoli viaggi. Quando tornavi avevi sempre delle nuove e bellissime storie da raccontare e un pensiero unico per ognuno di noi, che sognavamo a occhi aperti. Ci hai insegnato che viaggiare apre la mente, che si può acquisire fiducia in se stessi, ci hai fatto capire come poterci aprire al mondo mettendoti in gioco in Paesi e con popoli lontani, ci hai ispirati in diverse scelte, rivolgiamo un pensiero a chi come te per il mondo deve partire, ci hai insegnato che solo con il sacrificio, la perseveranza e la passione, niente è irraggiungibile. Ci hai dimostrato che si può puntare in alto e con tanto coraggio.

E lo zio aveva tanto coraggio. Tu eri lo zio sempre al passo con i tempi, pieno di risorse, lo zio che ci stimolava a fare di più e a essere di più. Eri un uomo equilibrato, caparbio nel lavoro e appassionato nella vita, eri anche uno zio sensibile che ci teneva la mano per darci conforto nei periodi peggiori, che consigliava, rassicurava che ti faceva vedere il lato buono della medaglia.

Poi a un certo punto forse ti sei fermato a pensare e ti sei reso conto che ti mancava qualcosa, ed è lì che hai conosciuto la donna della tua vita e insieme avete coronato il sogno del vostro amore con la nascita dei due tesori. Sono bambine che supporteremo, impareremo ad ascoltare con una forza doppia perché l’abbiamo già vissuta una volta.

Ma grazie all’unità, alla complicità che tiene saldo il nostro gruppo di cugini, tutti giovani, ma accomunati da una visione profonda della vita, tramanderemo la tua storia e tanti aneddoti che ci hai raccontato. E non le lasceremo sole». All’uscita dalla chiesa l’applauso liberatorio della folla. E la moglie Stefania che da sola si è avvicinata al carro funebre e ha toccato ancora una volta il vetro con la mano, il capo chino e gli occhi fissi sulla bara di legno chiaro.

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