L’addio a Elia con la poesia della maestra

Il Maniaghese si è fermato per i funerali del giovane morto mentre pescava. Lina Mongiat: «Niente rose per un sì d’amore». Il parroco: «Tanti perché, meglio il silenzio»
FOTO MISSINATO - FUNERALE A MANIAGO
FOTO MISSINATO - FUNERALE A MANIAGO

MANIAGO. «Addio Elia, sparito e rapito nel cielo di Dio. Stai in un’altra luce, dove il sole non tramonta mai. Tutto ci parlerà di te, ma non potrai donare il tuo mazzolino di rose per un sì d’amore sull’altare. Mandaci un sorriso, per aiutarci a vivere».

La poesia della maestra di Inglagna, Lina Mongiat, riassume il commiato del Maniaghese, che ieri si è fermato – dal Comune, dove lavora il padre, alla De Val dove lavorava il figlio – per renderel’estremo saluto al tecnico informatico Elia Pellegrinuzzi, 29 anni, morto mercoledì scorso in Val Tramontina e ritrovato domenica dai volontari del Soccorso alpino.

Tantissima gente, perlopiù giovani – molti hanno dovuto rimanere nel piazzale del duomo San Mauro –, «molte comunità ferite» attorno ai genitori Giuseppe e Angelica, alla sorella Vania, alla fidanzata Silvia, ai nonni, alla nonna Zaira che «l’ha cresciuto come ninìn, il mio canài». Città in silenzio, perché davanti alla morte, a questa morte, «non ci sono parole, troppo forte è il dolore».

Don Paolo Zovatto - che ha concelebrato con Gualtiero Bertolo, Roberto Tondato, Enrico Facca, Ivano Zaupa, Luigi Colman, Rudi Sabadin e Sergio Giavedon – ha ripercorso quella giornata di pesca «che si è tramutata in tragedia», davanti a un padre «impietrito dal dolore, sfibrato dalle ricerche».

I funerali di Elia Pellegrinuzzi

Ha ringraziato per la famiglia il soccorso alpino – 160 volontari mobilitati, ha ricordato il presidente regionale Graziano Brocca («è stato uno dei soccorsi più complessi e pericolosi, in un ambiente difficile e terreno scivoloso anche per il maltempo»), ai funerali col delegato regionale Vladimiro Todesco e tecnici di Pordenone, Maniago, Valcellina, Cave del Predil, tutti in divisa, istituzione alla quale sono state donate, per volontà della famiglia, le offerte – e la gente: «Se grande e lacerante è il dolore, conforta la straordinaria solidarietà».

E’ il momento dei tanti perché, li ha snocciolati il parroco: «Perché progettare un futuro, se in un attimo si muore? Perché accendere la vita, se poi si spegne?». Come il perché dei farisei a Gesù davanti alla morte di Lazzaro: «Non poteva evitare che morisse?». La risposta: «Anche Dio ha pianto e ha urlato: Lazzaro, vieni fuori dal sepolcro». Un urlo «che oggi rieccheggia tra coloro che lo hanno amato, questa morte ha messo a dura prova la nostra fede».

Famiglia, amici, i compagni di scuola, i colleghi di lavoro che «tra le mani non hanno niente», come canta il coro accompagnato da organo e chitarre mentre la bara di legno chiaro, coperta da rose e gigli bianchi, entra in chiesa. Ma quando escono hanno la solidarietà di un’intera comunità – rappresentata da tutti i sindaci del comprensorio – e la speranza «del silenzio della preghiera».

Mentre il feretro costeggia il campo sportivo, l’abbraccio ideale di decine di bambini in maglia rossa che fermano i giochi, quello degli animatori del Grest, dei coscritti, della squadra di calcio. Tra le mani, adesso, famiglia e amici, hanno il ricordo e una grande eredità, che «tiene accesa la mia luce, sino al giorno che tu sai».

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