L'analisi di fine anno del presidente Fedriga: "Periodo molto difficile per sanità ed economia. Nel 2023 mi ricandiderò

Il destino del Friuli Venezia Giulia in piena pandemia. Il ruolo della Lega a Roma come a Bruxelles, le prossime amministrative e la sua ricandidatura. Massimiliano Fedriga, al termine di dodici mesi a dir poco complessi e duri, traccia la sua linea immaginaria tra passato e futuro ragionando a 360 gradi, con posizioni non del tutto ortodosse all’interno della Lega, di politica locale, nazionale e continentale.
UN ANNO DI PANDEMIA
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Presidente che 2020 è stato?
«Estremamente difficile. Penso che nessuno si potesse aspettare di governare affrontando una pandemia mondiale e, per quello, sostengo sia stato molto provante in primis per la tenuta del sistema sanitario, ma anche per le ricadute economiche che, temo, dal punto di vista lavorativo e delle difficoltà imprenditoriali, ci porteremo con noi per parecchio tempo».
Con quali prospettive la Regione affronta il 2021?
«Adesso siamo in grado di investire e cercare nuove vie di sviluppo. Credo, ad esempio, che la ripartenza economica non possa prescindere da innovazione e ricerca applicata cercando di anticipare i nostri competitors. La storia insegna, infatti, che chi investe nei momenti di crisi poi si trova in vantaggio sui concorrenti. E sono abbastanza convinto che quando l’emergenza sarà finita ci troveremo di fronte a un assetto economico e politico diverso da quello che abbiamo conosciuto prima della pandemia».
Il Friuli Venezia Giulia ha superato la boa di metà legislatura. Che bilancio si può tracciare?
«Ci siamo incamminati in un percorso molto importante anche rispetto agli impegni presi con i cittadini nel 2018. Penso alla riforma sanitaria che non era scontato procedesse nel bel mezzo di una pandemia. Anzi, è stata proprio l’emergenza a dimostrare la bontà delle scelte effettuate ad esempio sulle cure intermedie, previste dalla riforma, perché la pandemia ha evidenziato la crisi strutturale del settore. Oppure penso, ancora, alla riforma degli enti locali e alla nascita degli Edr in un cammino che procede per gradi. Il nostro obiettivo è quello di tornare a enti elettivi anche se sappiamo che dobbiamo passare per una modifica dello Statuto oppure attraverso una norma di attuazione».
Ma non dovete ancora chiudere la partita della regionalizzazione della scuola?
«Abbiamo presentato da tempo una nostra proposta in Paritetica e mi auguro di ottenere, velocemente, il via libera. Il presidente Francesco Peroni in questo senso si è impegnato molto, il ministero degli Affari regionali aveva chiesto una settimana di tempo, ma i sette giorni sono diventati mesi. Adesso, però, siamo stufi e le promesse fatte devono essere mantenute».
Come vanno i rapporti con gli alleati? Fratelli d’Italia scalpita dopo gli ultimi sondaggi favorevoli?
«Il partito con me è sempre stato estremamente corretto, collaborativo e non ho mai percepito atteggiamenti ostili né da parte di Fratelli d’Italia né da altri movimenti. Stiamo andando avanti con una maggioranza solida, compatta e che lavora molto bene».
Anche con Forza Italia?
«In Friuli Venezia Giulia non c’è il minimo problema e pure a Roma, negli ultimi tempi, è tornata a manifestarsi una forte collaborazione stringendo con sagacia l’asse di centrodestra, cioè l’unica strada percorribile per offrire una valida alternativa a questo Governo del Paese. Il nostro compito è quello di restare compatti e di fare sintesi perché con la logica dei distinguo il rischio è soltanto quello di consegnare le chiavi del Governo a chi è minoranza nel Paese».
Come mai non è più segretario regionale della Lega?
«Siamo passati dalla Lega Nord dove nell’ultimo periodo ha lavorato molto bene nel ruolo Vannia Gava all’era della Lega Salvini. A quel punto mi è stato chiesto di vestire i panni del traghettatore per il nuovo soggetto politico. L’ho fatto, ma adesso era giusto garantire stabilità alle segreterie di tutta Italia scegliendo da noi, tra l’altro, una persona molto valida come Marco Dreosto. Oggettivamente, inoltre, vestire i panni del presidente e segretario di partito è complicato, se non impossibile».
L’impressione dall’esterno è che in questi mesi sia nata una specie di asse tra i governatori che esula dai rapporti nazionali...
«Sì, è decisamente al di là dei partiti e degli schieramenti politici. Io vado d’accordo con i colleghi leghisti, di centrodestra, ma si è sviluppata una profonda collaborazione anche con i governatori di centrosinistra. Penso che potrebbe, a breve, materializzarsi un cambiamento nei fatti dell’assetto istituzionale del Paese. Il ragionamento da cui partire è l’opposto rispetto ai tentativi di ricentralizzazione di alcune competenze, come la sanità, che si trasformerebbero in un danno per l’intero Paese».
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A proposito di Roma.
Un’altra sensazione è quella che lei e il suo entourage, a partire da Edoardo Petiziol, siate molto vicini alle posizioni di Giancarlo Giorgetti...
«Sono le stesse di Matteo Salvini».
Non ci crede nemmeno lei.
«Mettiamola così, dentro la Lega esistono sensibilità e sfumature diverse, ma la strategia è evidente e univoca. Salvini ha perfettamente chiaro come il fondamentale progetto di ristrutturazione europea passi per il dialogo con forze che non appartengono al nostro gruppo a Bruxelles. Non possiamo permetterci di restare in una specie di guerra statica, tra schieramenti opposti, che non porta a nulla. Le esigenze di cambiamento dell’Ue, tra l’altro, sono percepite anche da quei partiti, e penso in particolare al Ppe, che hanno finora governato l’Europa».
Perchè allora vi siete astenuti sul Recovery fund?
«Per come è stato strutturato e per come è stato “venduto” in Italia questo Piano.
In concreto stiamo parlando di 40 miliardi “freschi” che arriveranno nei prossimi anni considerato come il resto sia legato a prestiti oppure a maggiori contributi del Paese al bilancio comunitario. Non siamo contrari al Recovery plan, ma pensiamo che siano risorse che vengono, e arriveranno, dalle tasche dei contribuenti e pertanto riteniamo debbano essere investite molto bene, utilizzandole per interventi di prospettiva, non per operazioni di piccolo cabotaggio».
Una mossa intelligente non sarebbe entrare nel Ppe muovendovi, poi, come Viktor Orban?
«Onestamente non vedo materializzarsi la possibilità di una Lega all’interno dei Popolari, ma sono convinto che il Ppe possa e debba rappresentare un interlocutore serio e che su questa prospettiva dobbiamo lavorare fortemente».
Tornando agli affari di casa nostra, secondo lei Matteo Renzi farà davvero cadere il Governo?
«Allo stato attuale direi di no. Ho osservato tante volte movimenti aggressivi che, in breve, si sono trasformati in un “vogliamoci bene” a prescindere. Tra l’altro mi pare che fare previsioni sulle intenzioni di Renzi sia impossibile anche allo stesso Renzi che è passato da una posizione di “mai con il M5s” a farci un Governo assieme».
Il ministro Stefano Patuanelli, ha spiegato di augurarsi un’alleanza stabile con Pd e Leu. Dal vostro punto di vista, quindi, che senso ha avuto stare al Governo assieme ai grillini?
«Eravamo obbligati a farlo nel 2018 perché non potevamo tornare al voto. Ce l’abbiamo messa tutta e qualcosa di buono, come i decreti Salvini, l’abbiamo ottenuto. Poi però, con altrettanta responsabilità, abbiamo fatto bene a staccare la spina perché su economia e infrastrutture non si poteva più andare avanti. Dopodiché se il M5s si trasformerà in una costola della sinistra, come una specie di Udeur del 2020, almeno si farà chiarezza politica».
Mario Draghi lo preferisce a palazzo Chigio al Quirinale?
«Per Draghi decide Draghi stesso oltre, nel caso, al Parlamento. Ma senza dubbio parliamo di una persona con una grande considerazione a livello internazionale».
È preoccupato per le Comunali di Pordenone e Trieste?
«Schieriamo due sindaci che hanno dimostrato di saper governare bene, grazie anche al contributo dei gruppi della Lega, e si nota dall’apprezzamento dei cittadini, Dall’altra parte, invece, mi pare che si punti sulla denigrazione, vista l’assenza di un progetto politico, e non credo che sia un atteggiamento premiante».
Dove si vede Fedriga nel giugno 2023?
«Dove decideranno gli elettori. Qualcuno, forse, a Roma crede che non sia più così, ma, almeno per quanto mi riguarda, resto un sostenitore delle elezioni democratiche e del fatto che si debba passare per il giudizio dei cittadini».
Quindi si ricandiderà?
«Sì. Mi ricandiderò».
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